Questa è la seconda puntata della serie dedicata alle precedenti elezioni del presidente della Repubblica
«Che cosa? Io presidente della Repubblica? Ma non dite sciocchezze!». Luigi Einaudi, dopo le elezioni del 18 aprile 1948, quelle stravinte dalla Dc e perse dal Fronte Popolare socialcomunista, sa bene che il suo nome circola come possibile candidato alla presidenza della Repubblica. Ma se qualcuno prova a domandargli qualcosa, diventa sgarbato e lo liquida in poche battute. La scelta del nuovo capo dello Stato è il primo atto che deve compiere il nuovo Parlamento, dove la Dc e i suoi alleati hanno una maggioranza a prova di bomba. È tempo di eleggere il primo vero presidente della Repubblica.
Democristiani e comunisti ormai sono ai ferri corti: inimmaginabile pensare a un accordo dopo che per tutta la campagna elettorale la Dc ha spiegato agli italiani che se avessero vinto i comunisti sarebbero arrivati i cosacchi in piazza San Pietro e i comunisti dicevano che avrebbero cacciato De Gasperi a calci nel sedere. De Gasperi dà quindi ordine di votare Sforza. Pensa di poterlo eleggere se non subito almeno alla quarta votazione. Le cose però si mettono subito male. La mattina del 10 maggio, quando termina la prima votazione, De Gasperi capisce che le elezioni del 18 aprile hanno sì sconfitto il Pci, ma hanno anche sancito la divisione della Dc in gruppi contrapposti: Sforza riceve solo 353 voti, mentre De Nicola, che pure ha rinunciato a candidarsi per la riconferma, lo supera con 396 voti. Chi ha tradito? Tutti i sospetti vanno in direzione della sinistra democristiana di Dossetti e La Pira, che non amano Sforza, soprattutto per la sua fama di anticlericale e libertino: al ministro i seguaci di Dossetti avevano rimproverato di avere l’abitudine di girare nudo per casa turbando le monache che abitavano di fronte. Quel 10 maggio del 1948 segna la data di nascita dei franchi tiratori, che influenzeranno negli anni a venire quasi tutte le elezioni presidenziali.
Il segretario Dc, però, non molla. Al secondo scrutinio Sforza avanza fino a 405 voti. De Nicola arretra a 336. Ma la fronda non è debellata. Tanto vale lasciar perdere. De Gasperi invia Giulio Andreotti, Attilio Piccioni e Guido Gonella a dare a Sforza la ferale notizia. Il ministro accoglie la delegazione in vestaglia e monocolo, mentre prepara il suo discorso di insediamento: sulla scrivania c'è un foglio sul quale c'è scritto «Signori senatori, signori deputati...». «Eccellenza, non so come dirlo, ma la Dc non può più sostenere la sua candidatura», balbetta Andreotti. Sforza corruga la fronte, ma dissimula la delusione con grande eleganza: «Per carità, capisco benissimo, meglio così..».
Ma il tempo stringe e bisogna trovare rapidamente un’alternativa. All’una di notte si riunisce la direzione Dc. Molti discorsi, ma poca sostanza: la riunione si scioglie senza che si sia arrivati a decidere niente. Restato da solo con Andreotti, De Gasperi decide di rompere gli indugi: «A questo punto non ci resta che Einaudi». La candidatura del vecchio e autorevole senatore liberale sembra a De Gasperi l'unica in grado di ricompattare la Dc e la maggioranza. Alle quattro di notte sarà proprio Andreotti a comunicare a Einaudi che sarà il nuovo candidato al Colle. «Per me va bene. Però c'è un grave inconveniente. Sono zoppo: come farò a passare in rassegna le truppe durante le parate?» chiede il senatore. «Non si preoccupi, potrà farlo in automobile», è la risposta del giovane politico romano. E così l’11 maggio, dopo un terzo scrutinio andato a vuoto, con 518 voti su 883, lo stimatissimo economista piemontese, antifascista storico ma monarchico convinto (almeno fino al referendum costituzionale), diventa il primo presidente eletto della neonata Repubblica Italiana.
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