
Dimissioni? «Solo chiacchiere da bar, solo uno screanzato potrebbe abbandonare la nave». Il presidente della Regione Nello Musumeci resta al timone della Sicilia. Lo dice in un'intervista al direttore responsabile del Giornale di Sicilia, Marco Romano.
«Nessuna rabbia ma solo tanta amarezza. È stata un’offesa all’Istituzione, non uno sgarbo a chi la rappresenta. Lo sgarbo ci sta nelle dinamiche d'aula, ma va fatto semmai su un atto politico del governo, non sulla delega per il Quirinale. Quanto alle dimissioni, sono solo chiacchiere da caffè. Solo un matto o uno screanzato potrebbe pensare di abbandonare la nave a mare aperto, in balìa dei marosi, in piena pandemia. Io ho sottoscritto un ideale patto d'onore con i siciliani: mi hanno votato per essere governati e continuerò a farlo fino all'ultimo giorno, con entusiasmo e impegno. Abbiamo tanti cantieri da chiudere e tanti altri da aprire, tanti nuovi obiettivi da raggiungere nei prossimi mesi».
«Veda direttore, sono convinto che quando uno è "scappato di casa" è scappato anche dal proprio gruppo e dal proprio partito. Altrimenti avrebbe votato come hanno fatto, responsabilmente, ben ventinove deputati del centrodestra, che ringrazio per la serietà dimostrata. Ma se organizzi l'imboscata al presidente della Regione, l’aggressione alle spalle, con la complicità del voto segreto, non meriti alcun rispetto. Dissentire è più che legittimo da parte di un deputato, però va fatto a viso scoperto, devi metterci la faccia. Ma la storia del nostro Parlamento regionale, da sempre, è fatta anche di questi inutili giochetti, che non ti permettono di capire chi è il cospiratore e chi l'alleato leale. Detto questo, usciamo dalla ipocrisia: le istituzioni regionali, che sanno di una "sacralità laica", cioè l'assemblea ed il governo, non sono luoghi abitati da santi, né da diavoli: ci sono solo persone, con i loro pregi e difetti, pavidi e coraggiosi, morali e moralisti, trasparenti e opachi. È sempre stato così».
«Anche gli assessori della mia giunta, come si sa, non hanno vinto un concorso per entrare nel governo regionale, ma sono stati proposti dalle rispettive forze politiche e da me condivisi e nominati. Organizzare il rapporto fra il lavoro degli assessori ed i loro partiti o i loro gruppi parlamentari o garantirne la coesione non è compito del presidente della Regione. Se poi ti accorgi che i numeri in aula non tornano, è chiaro che agisci di conseguenza. Per questo, ritengo opportuno azzerare la giunta ed aprire il confronto con le forze della coalizione. Il che non significa - voglio sottolinearlo - una sfiducia verso gli assessori, ai quali va anzi il mio grazie per la competenza e la passione che hanno finora profuso, ma è solo un necessario momento di verifica con i partiti sulla capacità di coesione. Le dirò di più. Per agevolare il dialogo con i partiti, tutti gli assessori si sono detti disponibili a rimettere, di loro iniziativa, il mandato nelle mie mani. Un gesto di grande e raro senso etico. Altro che crisi: siamo una squadra».
«In democrazia si governa con i numeri. E quando i numeri non tornano, si cercano le cause e si trovano i rimedi. Altrimenti, rimangono due soluzioni: galleggiare o porre fine alla legislatura. Detto questo, per quanto mi riguarda non c'è alcuna crisi. La giunta resta in carica fino all’approvazione dell'esercizio provvisorio, atto indispensabile per non rallentare nulla. Una scelta di responsabilità, perché prima contano gli interessi dei siciliani e dopo, ma solo dopo, le legittime aspettative dei partiti».
«La Regione ha avuto in questi quattro anni il più stabile governo degli ultimi decenni. Mai un giorno di crisi, solo quattro assessori sostituiti, peraltro per cause estranee a conflitti politici. Non si ricorda facilmente un assessore rimasto in carica per tutta la legislatura. È anche questa la serietà di un governo di centrodestra. La verifica? Può essere una opportunità. Dovrà durare pochi giorni, non c'è tempo per bizantinismi. E arriveremo tutti più forti a fine mandato».
«L'ho già detto altre volte. Con Miccichè c'è una vivace dialettica. Forse un po’ più riservata, da parte mia. Ma siamo stati "condannati" a convivere ed a provare a trovare sempre le ragioni che uniscono. Sono orgoglioso del fatturato maturato dal governo che ho l'onore di guidare, ma il merito è di tutta la squadra. Certo, ogni presidente porta e applica metodi diversi, che possono non piacere a tutti. Ma da qualche anno a Palazzo Orleans non ci sono più "presidenti ombra". E questa credo debba essere una rassicurante garanzia per tutti, a cominciare dallo stesso Miccichè».
«Non mi piace il termine rimpasto. Sarà comunque l'occasione per definire un governo di fine legislatura. Sempre che ci siano la unanime volontà e le ragionevoli condizioni».
«Se in questa Regione ed in questa "disgraziata terra" è stata assicurata per quattro anni la governabilità e sono state spese risorse, malgrado la drammatica pandemia, per circa quattro miliardi di euro, lo si deve al mio governo ed al centrodestra, che ha restituito "normalità" - come lei stesso ha riconosciuto nel suo editoriale di fine anno - dopo anni di "calamità istituzionale", per usare una felice battuta del sindaco di Palermo. Come vede, in materia di governabilità ed efficienza non prendiamo lezioni da nessuno. Quanto alle condizioni per una mia ricandidatura, lo vedremo con i vertici delle forze politiche della coalizione, nazionali e regionali. Noi la Sicilia la stiamo cambiando davvero, dopo anni di macerie. E per cambiarla ho dovuto dire molte volte no a chi era abituato a sentirsi rispondere sempre sì. Basta con gli ammiccamenti, con le mezze parole, con gli accordi poco trasparenti. I mafiosi e gli amici dei mafiosi, gli affaristi, i lobbisti senza regole li abbiamo messi alla porta. E da vent'anni non si vedevano in Sicilia tanti cantieri aperti come in questi ultimi quattro anni. E adesso, per aver fatto tutto questo, assieme alla mia coalizione, dovrei meritare di fare un passo indietro? Ma scherza, io sogno che la mia Isola diventi una piattaforma logistica proiettata nel Mediterraneo, voglio continuare a sostenere le nostre coraggiose imprese, voglio che i miei nipoti possano rimanere qui a investire i loro studi. Altro che passo indietro. Nei prossimi anni arriveranno in Sicilia circa trenta miliardi di euro: comprendo gli appetiti di qualcuno, ma non c'è trippa per gatti! Guardare alle politiche? Ma no. Alla mia età e con la mia storia non c'è più tempo per disegnare carriere romane. Io resto qui a servire la mia Isola, spesso devastata e stuprata in questi settant’anni da una governabilità di facciata, che ha fatto scivolare la nostra Regione in coda a tutte le classifiche. Ho un impegno con i siciliani per cambiare assieme questa terra, amara e bella. E gli impegni li mantengo».
«Non conosco la parabola di Orlando ed il mio rapporto con la coalizione è assolutamente sereno. Ho già convocato una giunta per la prossima settimana per deliberare nuove iniziative. È normale, fisiologico che in vista di una scadenza elettorale ci sia un dibattito più animato tra i partiti. Ma il governo non si ferma un attimo e in tutti prevarrà il senso di responsabilità».
«Le confesso. Un grande manifesto avrei voluto stamparlo, alcuni giorni fa, con scritto a lettere cubitali: “Siciliani, per il quarto anno consecutivo, la Regione ha certificato la spesa voluta dall'Unione europea. Alla faccia dei tanti uccellacci di malaugurio!”. Ma lei pensa che in piena pandemia, con i tanti progetti da definire, con importanti riforme da varare, con tanto denaro da spendere, potrei avere tempo per pensare alla campagna elettorale? Questo è compito dei partiti, non di chi governa la più grande regione d'Italia, in un momento così difficile».
«Chi conosce la storia della politica regionale sa che la logica dei numeri in parlamento non ha una legge. Spesso, è una logica spregiudicata che obbedisce alle pulsioni e agli intrighi di Palazzo, come ben ricorda Giovanni Ciancimino nel suo recente libro sui presidenti di Sicilia. La sopravvivenza di molti governi è dipesa dal voto segreto. Le maschere al posto dei volti».
ù«Non credo di meritare di passare alla storia. E, se mi consente, non temo neppure di passare a certa cronaca. Appartengo alla cultura politica della responsabilità e sono nemico di ogni ipocrisia. Per me il nero è nero e il bianco è bianco. Se essere moderato significa fingere di non vedere il marcio e lavorare per il compromesso verso il basso e per la eterna mediazione, non sarò mai moderato. Coltivo il dono del dubbio, ma chi governa deve sapere anche scegliere, puntando sul giusto e non sull'utile. Che i siciliani debbano restare parecchio svegli diventa una necessità. Sarebbe un bene per tutti: chi governa ha bisogno di sentirsi controllato da chi fa il difficile mestiere di cittadino. Se i siciliani avessero dormito e sognato un po’ meno nel passato, oggi staremmo tutti meglio».
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