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Reddito di cittadinanza, è scontro tra Lega e M5S

Giancarlo Giorgetti - Sviluppo Economico

Rivedere il reddito di cittadinanza: basta un piccolo rifinanziamento - 200 milioni per arrivare alla fine dell’anno - ad accendere lo scontro nella maggioranza, con il primo braccio di ferro in attesa di combattere la ‘battaglià vera sui 22-23 miliardi della prossima manovra. La lite si consuma prima e dopo il Consiglio dei ministri che dà il via libera al decreto fiscale - che ha inglobato anche la stretta contro le morti bianche - e rischia di riproporsi di qui a martedì quando il governo dovrebbe varare il Dpb da mandare a Bruxelles e la legge di Bilancio.
«Non si risparmia sulla vita dei lavoratori», il messaggio “inequivocabile» che il governo dà con il nuovo pacchetto di misure sulla sicurezza sul lavoro, dice con «soddisfazione» il presidente del Consiglio Mario Draghi, che ha fortemente voluto l’intervento dopo averlo condiviso in due diverse occasioni con i sindacati. «Nei mesi scorsi abbiamo assistito a un numero inaccettabile di morti. Come governo, ci siamo impegnati a fare tutto il possibile», dice il premier, ringraziando il ministro del Lavoro e le Regioni «per il confronto costante e costruttivo».
A dire il vero qualcosa si inceppa, in mattinata, sulla linea Orlando-Fedriga, portando a un ritardo del Cdm di circa due ore: i governatori non hanno gradito l’invio solo all’ultimo minuto di misure, come quelle sui controlli da parte di Ispettorato del lavoro e Asl, che sconfinano quindi nelle loro competenze. Incidente rientrato solo dopo una convocazione d’urgenza, nel corso della quale, con la mediazione del ministro Mariastella Gelmini, si è raggiunta una intesa di massima, che prevede un coordinamento congiunto delle verifiche contro le irregolarità e il lavoro nero.
Il Cdm dà quindi il via libera al decreto ma subito dopo il confronto tra i ministri sul Reddito si trasforma in scontro: dai racconti dei partecipanti durante il Cdm il dibattito c’è ma è pacato ed è incentrato in particolare sulla necessità - condivisa dal premier - di rivedere le politiche attive. Anche perché, avrebbe ricordato il capodelegazione M5S Stefano Patuanelli, senza il reddito durante la pandemia «sarebbe esplosa la tensione sociale». Ma a riunione finita i leghisti puntano il dito contro il rifinanziamento che avviene, a loro dire, «levando risorse» ad altre misure (Reddito di emergenza, Ape social, congedi parentali). Una scelta che in Cdm Giorgetti definisce «beffarda», perché si sottraggono soldi a «chi ha lavorato duramente per una misura simile», per poi dire che è “inaccettabile», chiedendo che si cambino le coperture. Tutte falsità, «glielo spieghiamo con un disegnino», ribattono dal Movimento, ricordando che si tratta di uno spostamento di risorse «che non incide in alcun modo» sul funzionamento di quelle misure, che erano state sovrastimate. Un concetto che avrebbe spiegato anche il ministro dell’Economia Daniele Franco, ricordando che si tratta di «fondi in avanzo non utilizzati“ spostati su altri capitoli. Un meccanismo peraltro spesso utilizzato durante l’emergenza Covid, quando, soprattutto all’inizio, era difficile prevedere con esattezza le effettive necessità di sostegno per le varie categorie.
Sono proprio gli effetti della pandemia ad avere ampliato la platea che ha richiesto il beneficio, richiedendo in totale 1,2 miliardi di risorse aggiuntive quest’anno: per il 2022 il quadro dovrebbe migliorare e quindi potrebbe non rendersi necessaria una ulteriore iniezione di risorse mentre servirà rivedere lo strumento sul fronte delle politiche attive, a maggior ragione di fronte alla transizione ecologica in atto che creerà squilibri nel mondo del lavoro, come avrebbe ribadito Draghi ricordando che la sede per discuterne sarà la manovra. Tutti concordano che le politiche attive vadano ripensate - i partiti, Confindustria, il ministro Orlando - ma sulla ricetta si è ancora lontani dal trovare un’intesa tra chi preme per ridimensionare lo strumento - Lega e Fi, ma anche Italia Viva - e chi anzi lo vorrebbe potenziare. Lunedì ci sarà probabilmente il secondo round con una nuova cabina di regia, quando si dovranno fare le scelte su taglio delle tasse e pensioni, due capitoli che da soli (tra i 6 e gli 8 miliardi il calo dell’Irpef e circa 5 la previdenza) assorbiranno più di metà della manovra.

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