Riportiamo integralmente l'intervista del direttore Marco Romano al presidente dell’Assemblea regionale siciliana, Gianfranco Miccichè, pubblicata oggi sul Giornale di Sicilia
Presidente Miccichè, le piace Shakespeare?
«Mah, alcune cose mi sono piaciute moltissimo, altre magari non le ho capite. Ma che c’entra?»
Mi viene in mente l’orazione funebre di Marco Antonio: Io sono qui per dare sepoltura a Cesare, non già a farne le lodi. Lei che ci faceva l’altro giorno alla festa dell’unità?
«Sarà la ventesima volta che ci vado, c’è sempre stato questo rapporto di confronto fra me e il Pd, con Antonello Cracolici, con Giuseppe Lupo…»
Eppure stavolta ha seminato un po’ di scompiglio, rilanciando il suo pallino del modello Draghi calato in Sicilia.
«Guardi che io non ho la necessità di proporre modelli che possano personalmente essere utili a qualcuno. Forza Italia è nelle condizioni di avere da sola un risultato importante».
E allora perché cerca sponde in altri partiti?
«Non cerco sponde. Faccio un ragionamento con grande serenità. Io sono stato a lungo uno dei più convinti assertori del maggioritario. Oggi ho capito che per l’Italia è il sistema sbagliato. Quando Bush andò a Ground Zero dopo il crollo delle torri gemelle, accanto a sé aveva Al Gore, appena battuto alle presidenziali, che disse di lui “questo qui è il nostro capitano”. In Italia una roba del genere non succede mai: appena uno vince le elezioni, gli altri si mettono insieme fra loro o d’accordo con le Procure, per farlo cadere. È un inarrestabile meccanismo di odio. Accantoniamo allora il maggioritario e torniamo al proporzionale: se oggi alla guida del Paese andasse uno qualsiasi dei politici che ci sono in giro, l’Italia verrebbe assaltata dall’Europa. Ci salviamo solo grazie all’enorme credibilità di Mario Draghi».
Le piace davvero tanto, insomma.
«Personalmente non mi fa neanche tutta sta gran simpatia. Ma nessuno come lui oggi può salvaguardare la tenuta di questo Paese».
E un Draghi siciliano dove lo becchiamo?
«Non è quello il problema. Mi interessa di più avere un modello di governo uguale a quello nazionale, convinto come sono che a Roma non si potrà fare a meno di trovare una soluzione perchè il successore di Draghi sia ancora Draghi. Lo abbiamo visto tutti come è andata nei mesi scorsi, con un governo regionale che provava a fare qualcosa e poi c’era Provenzano (Giuseppe, ministro per il Sud del governo Conte e numero due del Pd, ndr) che, preso dalla voglia di candidarsi per il dopo Musumeci, boicottava ogni cosa, facendo di tutto per bloccare l’arrivo dei quattrini in Sicilia. Siamo usciti dal primo anno di Covid con un Pil in calo dell’11%. Smettiamola con questi giochetti. E sposiamo una linea identica a quella del governo romano. Oppure rischiamo davvero grosso».
Insisto: il modello Draghi esiste perchè esiste un collante forte come Draghi. Qui la vedo dura.
«Il concetto di pacificazione prescinde dalla figura forte. Per questo serve il proporzionale e con esso una coalizione non in contrasto con l’esecutivo nazionale, meno di sinistra, meno di destra. Sa che le dico, senza timore di esagerare?»
Esageri pure.
«Abolirei l’elezione diretta del presidente della Regione. Magari la reintroduciamo fra dieci anni. Ma oggi in Sicilia, se vogliamo evitare quello cui assistiamo spesso all’Ars - liti furibonde, guerre, arroganza da una parte e dall’altra – serve una via diversa. Mi sono spesso trovato in imbarazzo e difficoltà, nel mio ruolo di presidente, davanti a questa chiara volontà di creare ogni volta lo scontro. Ma basta».
Cracolici, che si definisce suo amico…
«…sì, è mio amico».
…ecco dicevo, Cracolici – big di vecchia data del Pd siciliano - dice sì al campo largo; il segretario Barbagallo invece, dice di non voler fare accordi con chi sta con la Lega e con Musumeci.
«Qui stiamo parlando del futuro, di un progetto importante. Discutere con chi si sta oggi o ieri, con chi sei sposato o da chi sei separato, è una minchiata. Ho sentito alla loro festa qualcuno dire che il Pd non può stare con gli anti europeisti. E il M5S? Devo ricordargli cosa dicevano dell’Europa e della moneta unica? Lo hanno dimenticato? Altra cosa, che mi fa incazzare ancora di più: il problema non se lo pongono a Roma, dove la Lega è il primo partito d’Italia e se lo pongono qui dove fino a prova contraria non esiste, avrà presentato sì e no 5 o 6 liste nei 40 Comuni in cui si sta andando al voto. A Roma ci governano insieme, in Sicilia si fanno venire le paturnie?».
Una crisi di identità?
«O la mancanza di una reale volontà. Si tolgano però dalla testa che Forza Italia possa entrare nel centrosinistra. Non succederà mai. Il campo largo si deve allargare da entrambe le parti. Altrimenti lasciamo perdere. Mi invitano alla festa dell’unità e però qualcuno grida alla vergogna per la mia presenza. Insomma, si mettano d’accordo fra di loro, prima di tutto».
Quindi riepilogando: per lei meglio il modello Draghi del tutti insieme, piuttosto che un accordo nel centrodestra con la Meloni che invece ne resta fuori?
«Il centrodestra è la mia vita da 25 anni e ne sono felice. Cracolici forse ha ragione quando dice “c’è ancora il centrodestra?”. Io ho altrettanto ragione quando gli rispondo “ma c’è mai stato il centrosinistra?”. E chiaro che c’è una crisi complessiva».
Però mentre Salvini e Meloni dialogano per andare oltre questo benedetto modello Draghi, qui lei vorrebbe l’esatto contrario.
«Io non pretendo di avere ragione. Se la mia idea non si concretizza, mi tengo stretto il mio centrodestra. Anche perché la Sicilia ha equilibri diversi rispetto al resto del Paese, qui abbiamo l’Udc al 7%, i centristi popolari autonomisti all’8%, Forza Italia vicina al 20%. Mettere insieme il tutto nel centrodestra si può. E questo nonostante gli esagerati e continui riferimenti critici di Musumeci nei confronti dei partiti. Una cosa che continua a creare disagi, inutile nasconderlo. Sembra che per lui i partiti siano il primo dei problemi e sarebbe meglio che non ci fossero».
A proposito: Musumeci può dirigere un governo sul modello da lei auspicato?
«È un argomento che non mi interessa. Io parlo e ragiono di politica, non di nomi».
Eh no, troppo facile. La politica a un certo punto si traduce in persone, in nomi.
«Certo, per colpa del maggioriario. Per questo lo vorrei eliminare. Oggi a Roma tutti cercano Berlusconi. E sa perché?».
Non è più il Nemico maximo?
«Berlusconi al 7% non preoccupa, oggi il nemico è Salvini. E appena la Meloni lo supererà, il nemico sarà lei. Ecco perchè il maggioritario non funziona più. Siamo un Paese ridicolo».
Torniamo ai nomi: Leoluca Orlando improvvisamente sembra tentato da una corsa per Palazzo d’Orleans. Sarebbe un buon presidente?
«Sinceramente no. L’ho anche apprezzato per tanti anni, ma oggi non è più in condizione di fare il sindaco di Palermo, figurarsi il presidente della Regione».
E Roberto Lagalla può fare il sindaco di Palermo?
«Beh magari sì, è una delle proposte al vaglio del centrodestra, un nome su cui nessuno può dire niente, il miglior rettore degli ultimi venti anni. Ma non è la mia proposta».
Tiri fuori la sua allora.
«Dico che Forza Italia ha al Comune uno che fa il capogruppo da una vita come Giulio Tantillo, persona di assoluto equilibrio e molto ben voluta, che conosce la macchina amministrativa più dei dirigenti stessi. Perchè non dovrebbe essere lui? Ma non ne abbiamo comunque ancora parlato».
E lei invece?
«Io non sono un problema. Propongo un progetto vincente oggi nel Paese e utile domani alla Regione. Io posso candidarmi ovunque o non candidarmi proprio».
E però lo confessi: fare il presidente dell’Ars le piace da matti.
«Non c’è dubbio, mi piace perché credo di farlo bene e mi viene riconosciuto. Magari però se lo rifaccio, dopo un anno mi stanco».
Prima dice che vuole reintrodurre i vitalizi, ora dice che vuole abolire l’elezione diretta del presidente. L’impopolarità non la spaventa.
«Mi spaventa solo la demagogia. Il mio sfogo sui vitalizi con quella signora che mi accusava di fare parte della casta privilegiata nasce proprio da questo. Quando smetterò di fare il deputato regionale mi ritroverò con 400 euro di pensione al mese. Come ci campo? È ovvio che non lavoro per ripristinare tutti i vitalizi, era una provocazione, uno sfogo. Ma se la gente continua ad odiarci nonostante li abbiamo tolti, proprio per quel senso di pacificazione di cui continuo a parlare, allora a che serve? Ci stiamo suicidando impiccandoci con la corda della demagogia. Mi faccio un culo quanto una casa dalla mattina alla sera, il lavoro vero non è quello dell’aula, lì si arriva solo per il voto finale a cose su cui si è lavorato per mesi. E ancora c’è gente fra i Cinquestelle che racconta la storiella della scarsa attività, per prendere un uno per cento in più. E magari ci riesce anche. Una cosa assurda. E i politici seri stanno zitti perché hanno paura. Siamo rovinati».
Miccichè uomo della pacificazione, pensa un po’…
«Se io dovessi ragionare egoisticamente direi che ho la certezza che il centrodestra alle prossime elezioni vincerà a mani basse. Io però sogno la fine di questa stagione di odio e questo clima di incomprensioni che non servono a nessuno. È proprio questo livello di scontro all’interno della politica che ha legittimato le Procure a prenderne il posto».
Caliamo un tris: Draghi al Quirinale, Orlando presidente della Regione, Lagalla sindaco di Palermo. Ci sta?
«In due casi su tre sì».
Cosa scarta?
«Orlando proprio no, non ha oggettivamente senso. Per carità, nessuno dimentichi che in questi 40 anni con lui siamo passati da Palermo città di mafia a Palermo città della cultura. Ma se dovessi passare una serata con lui, glielo sconsiglierei fortemente, non credo sia più nelle condizioni, nell’età, nella lucidità digitale - lui il massimo dell’analogico, come me - per guidare la Regione».
E lei è stanco? Magari potrà «riposarsi» a Roma.
«E prendere così tanti aerei? Poi con questa situazione generale, con l’Alitalia ridotta così. Una roba folle. Quando metteranno il treno veloce Palermo-Roma magari ne riparliamo. Ma temo che nel frattempo mi avranno cremato mille volte…».
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