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Mes, il Senato approva la risoluzione di maggioranza: 156 i voti a favore, 129 i no

Superare l’ostacolo del voto sulla riforma del Mes non basta al premier Giuseppe Conte per sancire una nuova tregua all’interno delle forze che sostengono il suo governo. Nel giorno in cui le Aule di Camera e Senato approvano, dopo molti tormenti all’interno del M5s, le risoluzioni in favore della posizione italiana sulla riforma del Meccanismo di stabilità resta alta la tensione sulla governance de Recovery plan e sul governo.

Il voto corre però sul filo, con solo 156 sì a Palazzo Madama. Cinque voti in meno della maggioranza assoluta, che pure in questo caso non era richiesta. Il premier si appella ai deputati e senatori e chiede "massima coesione": i distinguo fisiologici - dice - non devono pregiudicare il raggiungimento «degli obiettivi che ci stanno a cuore» e che «giustificano la nostra presenza qui». Ma dal Pd a Italia Viva, i partiti che lo sostengono chiedono maggiore coinvolgimento, anche del Parlamento. Per dirla con Matteo Renzi è arrivato il momento «di dipiciemmizzare la politica». Sul tavolo, non c'è alcuno scambio possibile, spiega il leader di Iv mirando dritto al cuore del recovery plan: la soluzione non passerà per uno «strapuntino» nella cabina di regia che è chiamata a gestire i 209 miliardi di fondi europei.

Il salto di qualità può essere garantito solo da un ampio "dibattito in Parlamento" alla luce del sole. Altrimenti, è la minaccia, le ministre Iv sono pronte a ritirarsi. Se Conte «ha bisogno di qualche poltrona ce ne sono tre: due da ministro e una da sottosegretario. Nostre a sua disposizione», chiarisce Renzi. Invoca responsabilità Conte di fronte alle Camere, alle quali - torna a ribadire - resterà l’ultima parola quando si tratterà di ratificare con un nuovo voto l’uso del Mes. Che, assicura, deve essere rivisto «radicalmente» nella sua struttura e funzione per farne uno strumento diverso. E sono questi imperativi che si dice pronto a portare in Europa, a partire dall’imminente Consiglio europeo.

Parole che, unite a un lavorio durato qualche giorno, hanno ridotto la fronda 5S che la settimana scorsa aveva messo nero su bianco il proprio dissenso arrivando a minacciare il veto. Sono 13 i deputati e una pattuglia di senatori che hanno resistito, sfidando i vertici
pentastellati: la risoluzione alla Camera, dove tra l’altro vanno in scena due votazioni separate, nella sua parte più controversa (la specifica riforma del Mes) passa con 297 sì, 239 no e 7 astensioni. Dissidenti che vengono applauditi dal centrodestra, dove però si registrano due voti dichiarati in dissenso dalla linea unitaria: sono quelli di Renato Brunetta e Renata Poverini.

Altri 14 deputati azzurri non partecipano al voto ma - viene spiegato da fonti del partito - sono assenti giustificati. Così come lo sono alcuni senatori a Palazzo Madama: il pd deve fare a meno di due voti su 35 (un senatore è assente a causa del Covid e un altro, eletto all’estero, è invece rimasto in Australia). Al Senato si confermano le aspettative della maggioranza che fin dalla mattina vedevano il pallottoliere aggirarsi intorno ai 157 voti. E a sera l’asticella si ferma a quota 156 (129 contrari e 4 astensioni). Mattia Crucioli, senatore 5S, mette agli atti il suo no: «Il Mes è la parte peggiore dell’Ue e rappresenta tutto ciò contro cui il M5S si batte», dichiara.

Ma nel giorno che era stato consacrato al Mes è comunque  il Recovery a tenere banco. Lo dice chiaro il capogruppo del Pd alla Camera Graziano Delrio: si rivolge direttamente al premier e indica nel coinvolgimento delle forze in Parlamento ma anche degli attori istituzionali e delle parti sociali la chiave per garantire quella sintesi necessaria per andare avanti. Esautorare le Camere, insiste, non si può perché vuol dire esautorare la «volontà popolare». Il premier, ribadisce il capogruppo Dem al Senato, convochi il Consiglio dei ministri e "trovi un accordo con i suoi ministri e la sua maggioranza per fare una proposta al Parlamento».

Ma è l’intervento di Matteo Renzi il più atteso: nessuno si aspetta l’apertura di una crisi vera e proprio ma nei quindici minuti in cui prende la parola anche il leader di Iv mette agli atti di pretendere un «dibattito parlamentare» sul Recovery; cita altri dossier, compresa la gestione dei servizi segreti, convinto che il filo conduttore sia quello di una chiara necessità di maggiore condivisione da parte del premier.

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