«Dobbiamo tener presente anche i dati degli altri Paesi, il contagio cresce ed è preoccupante». Il premier Giuseppe Conte, nella riunione con i capigruppo della maggioranza, non fa mistero della preoccupazione per i dati sul tavolo. E’ vero che il commissario all’emergenza Arcuri ha spiegato che al momento la saturazione delle terapie intensive è al 13% ma la curva è destinata a salire. Così non reggiamo, a novembre la situazione andrebbe fuori controllo, dobbiamo intervenire in fretta, il ragionamento del Capo dell’esecutivo che fa da sponda all’ala "rigorista" del governo che da settimane spinge per una stretta rigorosa.
Ma allo stesso tempo occorre tener presente le proteste delle categorie e la rabbia di chi non vuole un coprifuoco, anche se soft. Salvaguardare quindi la tutela della salute e dell’economia. Ecco il motivo per cui la misura più forte inserita nel nuovo Dpcm, quello stop ai locali e ai ristoranti alle 18 è ancora in ballo.
Fonti della maggioranza riferiscono che anche il premier non sarebbe del tutto convinto ma è Italia viva ad insistere sulla necessità di una norma meno dura, se non addirittura cancellarla. Poi ci sono le regioni che propongono di allungare l’orario alle 23. Si sta quindi mediando, una soluzione potrebbe essere quella di arrivare alle 20 ma il Pd e il ministro Speranza insistono a mantenere la bozza originaria del Dpcm illustrata anche dal premier ai capigruppo di maggioranza e opposizione.
Per il premier, quindi, sono lunghe ore di trattative. Parallelamente va avanti il dialogo con i governatori che, oltre al no al limite delle 18 per i locali, tra l’altro chiedono un impegno concreto sul ristoro alle attività che verranno penalizzate dal Dpcm, la didattica a distanza al 100% per le scuole superiori (i dem su questo punto appoggiano le Regioni) e il no a paletti sugli spostamenti. Misura che ieri era sul tavolo ma che alla fine potrebbe non entrare nel testo finale, la cui firma è slittata a oggi. Probabilmente lunedì potrebbe esserci il decreto per il via libera al ristoro (ma non è escluso che sia nello stesso giorno del via libera al Dpcm), con Conte che dovrebbe riferire martedì in Parlamento sul nuovo provvedimento che sarà valido fino al 25 novembre.
L’ala rigorista non arretra, la partita soprattutto con i governatori è aperta. Non si esclude quindi un compromesso sulla norma maggiormente osteggiata, ovvero quella che obbliga i locali a chiudere alle 18. Invece dalle 21 si potrà disporre la chiusura delle piazze, c'è lo stop alle palestre, ai centri termali e alle piscine (ma no a parrucchieri e centri estetici), si consiglia fortemente di non ricevere persone che non siano conviventi a casa, si obbliga a stare al tavolo al ristorante al massimo in quattro, si chiude alle feste al pubblico e all’aperto, si decreta lo stop a cinema e a spettacoli (ma no a teatri) e alla partecipazione del pubblico agli eventi sportivi.
Un pressing forte dei governatori è anche sul ministro Speranza e sul responsabile dei Trasporti, De Micheli. Al primo le regioni chiedono che si facciano tamponi solo ai sintomatici e ai contatti stretti (familiari e conviventi) e che si attivino maggiormente i medici di base, al secondo (richiesta avanzata anche dai capigruppo, sia di maggioranza che di opposizione) che vengano regolati i trasporti. Ma le regioni sono contrarie anche allo stop dei ristoranti la domenica, ad una stretta dei centri commerciali e mostrano perplessità anche sulle misure contro le palestre e le piscine.
Nella lettera inviata dal governatore Bonaccini al governo si chiede che l’orario di chiusura per i ristoranti slitti alle 23, «con il solo servizio al tavolo» mentre «per i i bar alle 20 ad eccezione degli esercizi che possono garantire il servizio al tavolo». Ma è anche nella maggioranza che c'è fibrillazione, con Italia viva fortemente contraria alla stretta. Da qui la mediazione del premier che a tutti i suoi interlocutori assicura che verranno fatte le valutazioni necessarie prima del varo del provvedimento. Con le opposizioni - soprattutto Salvini e Meloni - sulle barricate.
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