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Primo ok alla manovra alla Camera: il tempo stringe per la trattativa con Ue, serve accordo

Da sinistra, Massimo Garavaglia, Giovanni Tria e Guido Giancarlo Giorgetti

Ragionevolezza. E responsabilità. Perché una intesa con Bruxelles che scongiuri la procedura di infrazione è a portata di mano a patto che tutti calino non solo i toni ma anche le pretese. Nel giorno del primo via libera alla manovra da parte della Camera, dove il testo è stato approvato con 312 sì, è la voce 'dialogante' del governo a farsi sentire, con il sottosegretario alla presidenza Giancarlo Giorgetti e il ministro dell’Economia Giovanni Tria, al suo posto al banco del governo in Aula a Montecitorio dopo la 'vistosa' assenza di ieri alla fiducia per la prima della Scala.

Il tempo stringe e una intesa andrà trovata prima di tutto all’interno dell’esecutivo entro lunedì, prima che il presidente del Consiglio Giuseppe Conte vada in Parlamento a riferire sul Consiglio europeo. Un appuntamento anticipato di un giorno per non lasciare 'vuoti' in attesa dell’incontro, in agenda probabilmente mercoledì a cena, con il presidente della commissione Jean-Claude Juncker. Il calendario è fitto.

E’ lo stesso Giorgetti a spiegare che il punto si farà in avvio di settimana, quando arriveranno gli attesissimi calcoli «di Ragioneria e Inps» sulle due misure simbolo gialloverdi, reddito di cittadinanza e revisione della legge Fornero. «Sono fiducioso della ragionevolezza del governo italiano, spero in quella della Commissione» è il messaggio che lancia alle due parti del tavolo l’ascoltato braccio destro di Matteo Salvini. Che minimizza anche le tensioni interne, che vedrebbero Tria convinto a portare il deficit almeno al 2%, e i due vicepremier intenzionati invece a non scendere oltre il 2,2-2,1%.

«Il governo è uno e ci sarà una posizione», assicura. L’ora delle decisioni politiche, insomma, è arrivata. Decisioni che ancora non ci sono e che, chiarisce il titolare di via XX Settembre, sono indispensabili per arrivare a un accordo con la Commissione europea. Una soluzione positiva «è possibile», dice, spiegando che al vaglio ci sono «tutte le opzioni». Ma l’ultima parola dovrà dirla la politica.

La richiesta di Bruxelles è chiara: serve un nuovo Dpb che corregga il quadro macroeconomico del Def e riveda i saldi della manovra, ratificato anche dal Parlamento, nel quale si certifichi il calo del deficit e lo sforzo strutturale che consenta un chiaro piano triennale di riduzione del debito. Ma Lega e M5S restano poco propensi a percorrere l’unica via che al momento appare tecnicamente possibile, quella di rinviare almeno a giugno di reddito e pensioni. Le due misure, insistono, devono partire con l’erogazione effettiva del reddito e le prime uscite con quota 100 da aprile. E già questo slittamento, unito ai vari paletti per contenere la platea potenziale, dovrebbe liberare in tutto 4 miliardi (un po' meno di 2 dal fondo per il reddito, un pò più di 2 da quello per le pensioni).

Risorse che però andrebbero dirottate sugli investimenti, non tanto sul calo del deficit nominale sotto forma di risparmi. Ma alternative ce ne sono poche, a meno di non ricorrere ad aumenti selettivi dell’Iva, idea che Tria avrebbe rispolverato come 'spauracchio' per convincere i due vicepremier a cedere.

I tempi, comunque, sono strettissimi: alla fine dell’anno mancano tre settimane e la manovra va approvata entro il 31 dicembre altrimenti scatta l’esercizio provvisorio. Nel tour de force del Senato si dovrà inserire non solo l’eventuale maxi-correzione del deficit ma anche una serie di altre modifiche, dalla correzione dell’ecotassa sulle auto inquinanti al taglio delle pensioni d’oro. Possibile un ulteriore rafforzamento delle misure pro imprese (che Salvini incontrerà con Giorgetti al Viminale) alla revisione delle concessioni per l'estrazione di idrocarburi, dopo dopo che l’annunciata 'tassa sui petrolieri' da 500 milioni non ha trovato posto alla Camera.

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