ROMA. Anche se ampiamente previsto, non arriva attutito, dentro il Pd, il risultato non ancora definitivo del voto in Sicilia. Matteo Renzi ammette con i suoi "il disastro annunciato", convoca per il 13 la direzione, pronto a cercare un dialogo che eviti una resa dei conti interna esiziale per il Pd a pochi mesi dalle elezioni. Ma non capisce chi, come Andrea Orlando, usa il voto siciliano per mettere in discussione la sua premiership: il tema, secondo l'ex presidente del consiglio, non è chi va a Palazzo Chigi ma che ci vada il Pd e per farlo con il Rosatellum serve una coalizione e non il candidato premier. Da giorni al Nazareno il flop era dato per certo e i veri timori, che secondo gli exit poll sarebbero scongiurati, erano sul quarto posto dopo Claudio Fava, il candidato con cui Mdp e la sinistra sperano di riscrivere i rapporti di forza dentro il centrosinistra. Alla "sfida gentile" di Fabrizio Micari non credeva di fatto più nessuno così come già il voto a Palermo aveva segnalato che il Pd in Sicilia continua ad arrancare. "Ma dove è la novità? - si difendono i renziani - la scorsa volta si è vinto con il 13 per cento del Pd, con l'11 dell'Udc e il 6 della sinistra di Crocetta e perché la destra era divisa". Una lettura che sembra un po' assolutoria ma è in realtà mirata a sostenere che "siamo in partita se c'è una coalizione". E soprattutto ad evitare lo scontro interno e a convincere Dario Franceschini, Orlando e Michele Emiliano a non andare all'attacco del segretario condannando il Pd a sconfitta certa alle elezioni del 2018 a favore del centrodestra o di M5S. I dirigenti del Pd, però, non sembrano intenzionati a fare sconti al leader. "La sconfitta è pesante ed è l'ultima di una serie di risultati presi sotto gamba", è l'analisi diffusa. Ora o Renzi dimostra di voler decidere insieme su tutto, a partire dalla definizione delle liste elettorali, e di impegnarsi davvero a costruire "senza veti" una coalizione o, come dice un big della minoranza, "parte il cinema". Sia Orlando sia Franceschini si intestano il cambio di passo di Renzi sull'ammissione della necessità di costruire una coalizione e ora pretendono che si tratti davvero sia con la nascente lista Pisapia-Verdi sia con i Radicali. Mentre nella direzione centrista l'ex premier si è già mosso autonomamente incontrando ieri Pier Ferdinando Casini. I big Pd non vorrebbero dare per perso fino all'ultimo anche un confronto con Mdp, ipotesi che Renzi vede remota "non per colpa sua", dicono i suoi. Il leader è pronto, attraverso il coordinatore Lorenzo Guerini, ad aprire da domani il confronto con i possibili alleati. Mettendo sul piatto anche la disponibilità a primarie di coalizione se qualcuno le chiedesse. "Per il centrosinistra serve un nuovo inizio. Il Pd è pronto a confrontarsi senza veti con tutte le forze progressiste, europeiste, moderate, interessate a costruire unità e non divisione", ribadisce, ancora a urne aperte, Maurizio Martina. Un messaggio rivolto oltre ma soprattutto dentro il Pd per scongiurare un tutti contro tutti e per invitare i dem a concentrarsi sui veri rivali: i grillini, contro cui Renzi aprirà la sfida da martedì nel match tv con Luigi Di Mario, e il centrodestra.