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Pensioni d'oro, la Consulta dice sì al contributo di solidarietà

Una decisione che ora dovrà essere dettagliata nella sentenza, di prossima pubblicazione, ma che è stata anticipata nei suoi contenuti essenziali, da cui risulta premiata l'idea sostenuta dall'avvocatura dello Stato di una "solidarietà intergenerazionale" per assicurare le pensioni future

ROMA. Temporaneo, interno al circuito previdenziale, progressivo, ma soprattutto giustificato in via del tutto eccezionale dalla crisi economica, che è "grave e contingente"; e applicato solo alle fasce con assegni alti, e quindi sacrificio sostenibile. E' un sì a tutto tondo quello che emerge dalla decisione della Corte Costituzionale sul contributo di solidarietà sulle cosiddette pensioni d'oro.

Una decisione che ora dovrà essere dettagliata nella sentenza, di prossima pubblicazione, ma che è stata anticipata nei suoi contenuti essenziali, da cui risulta premiata l'idea sostenuta dall'avvocatura dello Stato di una "solidarietà intergenerazionale" per assicurare le pensioni future.

Un passaggio importante anche nell'ipotesi di nuove misure che incidano sugli assegni pensionistici più corposi. Nella norma esaminata dalla Corte, ad essere toccati sono gli assegni da 14 a oltre 30 volte il minimo Inps, con una quota progressiva del 6% per gli importi da 91.343 a 130.358 euro lordi annui; del 12% per gli assegni da 130.358 a 195.538 euro; del 18% da 195.538 euro in su.

Un meccanismo inserito nella finanziaria 2014 varata dal governo Letta. Il prelievo vale per un triennio, scade a dicembre e per ora non è stato rinnovato. A "impugnare" queste misure con 6 diverse ordinanze, sono state varie sezioni regionali della Corte dei Conti sulla scorta dei ricorsi presentati da ex dirigenti dello Stato e di enti pubblici e privati, ex docenti universitari, ufficiali delle forze armate e tanti ex magistrati.

Per tentare di dimostrarne l'irragionevolezza, i loro avvocati hanno fatto leva su una precedente sentenza della Corte Costituzionale. Provvedimenti simili a quelli discussi, infatti, erano già stati varati nel 2011 e la Consulta li aveva dichiarati illegittimi nel giugno 2013 per due ragioni: l'applicazione ai soli pensionati del prelievo, la sua natura tributaria e strutturale. Il governo Letta li ha riproposti con dei correttivi per riequilibrarne gli effetti ed evitare le censure; e le norme hanno retto al vaglio di costituzionalità.

La Corte ha accolto le tesi dei legali dell'Inps, che si è costituita, e dagli avvocati dello Stato, Gabriella Palmieri e Federico Basilica, che hanno rappresentato la Presidenza del Consiglio: secondo loro, infatti, le ordinanze con cui è stata sollevata la questione di costituzionalità hanno un'impostazione "vecchia e superata". E appellarsi all'art. 97 della Costituzione sull'equilibrio di bilancio è un errore: quell'articolo, anzi, è "uno scudo" a favore del contributo, perché sancisce che "la finanza pubblica diventa un bene da tutelare in via prioritaria".

Proprio qui si innesta la necessità di "valutare la misura nell'ottica complessiva del sistema previdenziale e di una solidarietà intergenerazionale: la stabilità di bilancio non viene assunta come criterio astratto, ma tutto interno al sistema previdenziale, con l'obiettivo di assicurare anche in futuro gli assegni pensionistici".

Come dire che di fronte a una crisi che può mettere a repentaglio la sicurezza dei lavoratori più giovani, l'equilibrio che il sistema pensionistico deve assicurare non si ferma all'oggi, ma va proiettano sugli anni a venire. Anche perché ad essere temporaneamente toccati dal prelievo di solidarietà sono i redditi da pensione elevati, e quindi il sacrificio c'è, ma è sostenibile.

Ai lavori della Consulta non ha partecipato il giudice Giuseppe Frigo, assente per motivi di salute. C'era invece Augusto Barbera, che per motivi di opportunità aveva deciso di non presenziare ad alcune delle ultime udienze visto che è coinvolto in una questione giudiziaria in via di definizione. Quattordici, quindi, i componenti del collegio presenti, con Rosario Morelli relatore della causa.

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