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Riforme e trivelle, caos alla Camera: scontri Pd-opposizioni

Irrompe in Parlamento lo scontro sul referendum sulle concessioni per le trivellazioni e va a congiungersi con quello sulle riforme costituzionali, preludendo così alla Camera una battaglia nella settimana precedente al 17 aprile, quando l'Aula dovrà approvare definitivamente il ddl Renzi-Boschi

ROMA. Irrompe in Parlamento lo scontro sul referendum sulle concessioni per le trivellazioni e va a congiungersi con quello sulle riforme costituzionali, preludendo così alla Camera una battaglia nella settimana precedente al 17 aprile, quando l'Aula dovrà approvare definitivamente il ddl Renzi-Boschi.

Le opposizioni vanno alla carica di governo e maggioranza chiedendo la chiusura di Montecitorio nella settimana del referendum, proprio la settimana in cui si dovrebbe votare il pacchetto delle riforme.

Intanto, prosegue la polemica interna al Pd tra minoranza e maggioranza sulla questione del referendum sulle trivelle, con alcuni esponenti della maggioranza Dem che si dicono pronti a votare sì.

La conferenza dei capogruppo della Camera si è riunita per organizzare i lavori dell'Aula e le opposizioni hanno chiesto una interruzione delle sedute nella settimana precedente al 17 aprile, così da poter fare più agevolmente la campagna referendaria. Un fatto già avvenuto in altri referendum ma che si scontra con una decisione precedentemente presa, quella di fissare a martedì 12 aprile il voto finale sulle riforme costituzionali.

Le opposizioni hanno proposto una slittamento di una settimana, al 19 aprile, di questo voto, con l'impegno a concluderlo in quella giornata. Ma il capogruppo del Pd Ettore Rosato è stato irremovibile. E altrettanto ferma è scattata la reazione delle opposizioni che hanno preannunciato l'ostruzionismo.

Renato Brunetta, poi non ha dubbi: "è vero che ci eravamo impegnati a votare le riforme il 12 aprile, ma è per questo che hanno fissato il referendum il 17: per affossarlo mediaticamente con questa loro vittoria parlamentare". Ma c'è anche un non detto: la legge attuativa del referendum costituzionale dice che esso si deve tenere tra il 50esimo e il 70esimo giorno dalla sua indizione. Quindi l'approvazione della riforma il 12 aprile rende teoricamente possibile svolgerlo il 5 giugno, data annunciata oggi dal ministro Alfano per il primo turno delle amministrative. Basterebbe che già il 13 tutti i parlamentari della maggioranza firmassero per chiederlo. Questo scenario, piuttosto improbabile, non fa che aumentare le tensioni tra maggioranza e opposizioni.

E' invece bipartisan un appello lanciato da un gruppo di senatori appartenenti a tutti i partiti, che hanno invitato non solo a recarsi il 17 aprile a votare, ma anche a barrare la casella "Sì". Tra essi senatori delle opposizioni (Loredana De Petris di Sel, Emilio Floris e Antonio D'Al di Fi, Francesco Bruni di Cor, l' M5s Francesco Campanella), ma anche di Ala (Antonio Scavone, Giuseppe Compagnone, Giuseppe Ruvolo e Francesco Amoruso) e della maggioranza, come Giuseppe Marinello di Ncd e i Dem Laura Puppato e Giampiero Dalla Zuanna. Questi ultimi non sono certo della minoranza interna, come ha sottolineato Puppato, che ha annunciato l'intenzione di sollevare il problema lunedì prossimo alla Direzione. Puppato ha messo in guardia Renzi ricordando come nel 2011 il referendum sul nucleare raggiunse il quorum, nonostante il governo avesse scelto una data scomoda (12 giugno) per farlo mancare. E anche Vannino Chiti ha esortato il Pd a non puntare sul non voto. Ma proprio sulla legittimità di questa scelta, i renziani, con Andrea Marcucci, Alessia Rotta e Andrea Romano, hanno replicato allo stesso Chiti e a Pierluigi Bersani, che ieri aveva invitato a recarsi alle urne: nel 2003, nel referendum sull'articolo 18, entrambi dissero che non votare era legittimo al fine di far mancare il quorum.

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