ROMA. La Camera approva in via definitiva l'Italicum, tra Aventino e assenze, che va ora sulla scrivania del presidente della Repubblica Mattarella per la promulgazione. Lo scrutinio segreto chiesto dalle opposizioni alla fine si ritorce contro di esse, tanto che escono dall'aula per evitare che alla riforma arrivino i voti dei «franchi sostenitori», come era avvenuto in precedenti scrutini segreti. Ma anche la maggioranza segna il passo perdendo altri sì, rispetto ai voti di fiducia della scorsa settimana proprio nelle file del Pd.
Ai 334 ok infatti sono contrapposti 61 «no», di cui circa 50 della minoranza dem (in 38 non avevano votato la fiducia), cosa che fa esprimere soddisfazione a Pier Luigi Bersani che parla di ampio dissenso. Anche se Renzi ha comunque buone ragioni di esultare per «l'impegno mantenuto» dal governo. In ogni caso, oggi non si è verificato un voto al cardiopalma come si pensava, a causa dello scrutinio segreto chiesto da Fi, Lega e Fdi.
La tenuta del Pd nei voti di fiducia di giovedì e mercoledì scorso, si è ripetuta sostanzialmente oggi, anche se è cresciuta la dissidenza in modo palese, da 38 a una cinquantina. Gia nel pourlarler della mattina si era capito che i dissidenti Dem non avrebbero superato questi numeri. A questo punto i gruppi d'opposizione indiziati di poter fornire «franchi sostenitori» all'Italicum, a cominciare da Fi, hanno deciso di non partecipare al voto, uscendo dall'Aula. Nelle pregiudiziali votate lunedì scorso a scrutinio segreto, il governo aveva incassato 385 e 384 voti, poi calati a 352.
Nelle dichiarazioni di voto i toni sono stati comunque forti. Danilo Toninelli di M5s ha chiesto al presidente Mattarella di non promulgare la legge. Renato Brunetta ha evocato per Renzi la figura di Honecker, il dittatore della Ddr. Gli ha risposto Lorenzo Guerini, vicesegretario del Pd che ha letto la dichiarazione di voto del capogruppo di Fi al Senato, Paolo Romani, quando gli «azzurri» votarono sì alla legge. «O Romani si sbagliava allora - ha commentato - o si sbaglia oggi Brunetta, io non ho dubbi sulla risposta». Alla fine i sì sono 334, con Scelta civica che rivendica il proprio essere stata determinante. Molto di meno dei 404 di cui gode la maggioranza di governo. I 61 «no», tranne i pochi deputati delle opposizioni rimasti in Aula e gli ex grillini, arrivano proprio dalla maggioranza, e circa una cinquantina dalla minoranza del Pd, tanto che Bersani parla di un «dissenso abbastanza ampio». Anche perchè i bersaniani sono determinanti in Senato ai fini dell'approvazione della riforma costituzionale. E infatti il senatore Miguel Gotor ha affermato minacciosamente che «da oggi comincia un altra partita», ricordando i 24 dissidenti del Pd a Palazzo Madama.
Intanto Renzi esulta per essere riuscito ad approvare una riforma elettorale, cosa che era fallita alla maggioranza guidata da Romano Prodi nel 2006-2008, da Bersani nel 2012, e da Bersani ed Enrico Letta nel 2013. «Impegno mantenuto, promessa rispettata. L'Italia ha bisogno di chi non dice sempre no. Avanti, con umiltà e coraggio #lavoltabuona», ha twittato Renzi. «Missione compiuta. Il governo ha mantenuto l'impegno. Abbiamo promesso, abbiamo mantenuto», ha detto il ministro Boschi, presa d'assalto dai deputati del Pd che si sono complimentati con lei. Renato Brunetta ha parlato di «vittoria di Pirro» perchè in Senato «Renzi non ha più la maggioranza», mentre Guerini si è detto fiducioso sulla «responsabilità» Dem della minoranza in Senato.
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