ROMA. «Ancora non è finita». Ostenta prudenza, Matteo Renzi. I numeri certificati dai tre voti di fiducia in Aula alla Camera gli consentono di affrontare con una certa tranquillità il voto finale della legge elettorale in programma per lunedì. Ma l'Italicum è ormai diventato un «simbolo» per il premier. È lo spartiacque tra una «classe politica inconcludente, che prometteva e poi non faceva nulla» e il suo governo, che «ci prova e ce la fa».
Dunque, cautela fino all'ultimo. Forse anche per non acuire la frattura nel Pd, dove minaccia di allargarsi il fronte nel dissenso. Uno dei 38 dissidenti dell'Italicum, l'ex lettiano Guglielmo Vaccaro, lascia il gruppo. Lo fa perchè contrario alla candidatura di Vincenzo De Luca. Ma potrebbe essere uno dei «pionieri», secondo fonti della minoranza dem, verso la nascita di gruppi autonomi. Dopo aver smentito i retroscena che gli attribuivano parole di fuoco contro la sinistra del partito, Renzi ribadisce in un'intervista al Tg2 le ragioni più profonde dell'affondo sull'Italicum: «Per anni i cittadini hanno visto una classe inconcludente. Stavolta abbiamo indicato gli obiettivi e li stiamo portando a casa. Per le strade mi dicono 'tenete botta perchè è la volta buonà».
Dopo aver «sconfitto» con la partenza di Expo «i professionisti del 'non ce la farete mai'», il premier si prepara a completare con le riforme la rottamazione della politica del passato. Un dualismo che Renzi traduce nel presente nel derby tra disfattisti e chi si dà da fare. Respinge però l'accusa di autoritarismo: «In tanti dicono 'manca la democrazià e poi abbiamo fatto 7 voti sull'Italicum solo in questa terza lettura...». Perciò «non spaventa - assicura Maria Elena Boschi - la sfida» di un eventuale referendum: «Decideranno i cittadini» da che parte stare.
Lunedì intanto dopo aver incassato con circa 350 voti le tre fiducie sulla legge, i renziani calcolano che sul voto finale della legge l'asticella potrebbe abbassarsi, ma non fino al punto di impensierire: «Può darsi che, come sostiene Speranza, il fronte del dissenso nel Pd si allarghi oltre i 38 deputati - dice un dirigente dem - ma nella peggiore delle ipotesi loro potrebbero salire di 20, noi scendere a 330». La cautela, spiega qualcuno, deriva anche dalla necessità di tenere alta l'attenzione tra i deputati renziani, perchè non ci siano distrazioni o assenze. Ma Ettore Rosato spiega che la ragione è un'altra: «Come sempre da parte nostra non c'è nessuna arroganza e c'è rispetto del Parlamento che deve ancora votare».
Lunedì mattina i gruppi di opposizione concorderanno una strategia in vista del voto: se chiedere lo scrutinio segreto, se votare contro a scrutinio palese o tornare sull'Aventino. Il tentativo, spiegano fonti di FI, sarà anche quello di far fronte comune con la minoranza Pd. Ma i dissidenti dem spiegano che da parte loro non ci saranno trabocchetti: prenderanno una posizione chiara e la dichiareranno, magari con un documento. «Non voto il testo finale», dice Gianni Cuperlo. Ed è questa l'unica certezza dei 38: non c'è possibilità che votino sì, assicurano. Sulle altre opzioni (votare no, uscire dall'Aula, astenersi) si consulteranno lunedì, valutate tutte le variabili. Intanto, però, la tensione nel partito resta alta. Dentro il Parlamento, dove gli equilibri al Senato si fanno sempre più fragili. Così come fuori dalle Camere, dove si registra qualche mal di pancia sulle liste per le regionali e la scelta di candidare De Luca in Campania («ingiustificabile e irricevibile») porta l'ex lettiano Vaccaro ad annunciare l'uscita dal gruppo. Non ultima, si segnala anche la polemica sollevata dai prodiani dopo che Renzi non ha ringraziato espressamente Romano Prodi per l'Expo di Milano. Una polemica, secondo fonti di Palazzo Chigi, «incomprensibile».
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