MILANO. Il centro-destra dovrà riconquistare l'anno prossimo la guida di Milano, dove «tutto è iniziato», «poi faremo ripartire anche l'Italia, dove siamo la maggioranza vera e naturale». Con un messaggio telegrafico, in cui ha evitato di parlare delle alleanze con cui intende presentarsi al voto, Silvio Berlusconi ha rispolverato il legame con la sua città per richiamare Forza Italia alla compattezza in uno dei momenti più difficili della sua storia.
«Nel 2016 dovremo riconquistare Palazzo Marino con un candidato sindaco che sarà la sintesi della nostra storia», ha detto l'ex premier in un breve collegamento telefonico alla riunione organizzata dal suo partito a Milano, all'auditorium Gaber, per preparare il dopo Pisapia. Per il leader FI, infatti, «da Milano riparte la sfida alla sinistra, che cambia facce ma mai sostanza», e «anche Renzi sta dimostrando che la sinistra pensa solo a occupare il potere a qualunque costo». Berlusconi è rimasto però ad Arcore, mezz'ora di macchina dal Gaber. A un certo punto, esauriti tutti gli interventi dal palco, stava per saltare persino la telefonata, perchè il centralino di Villa San Martino non riusciva a mettersi in collegamento con il numero dell'auditorium. Alla fine la padrona di casa, Mariastella Gelmini, che è coordinatrice lombarda di FI, ha preso la chiamata con il suo cellulare e lo ha avvicinato ai microfoni.
Fosse stato presente, Berlusconi avrebbe ascoltato, oltre ai legittimi entusiasmi dei forzisti milanesi per il 2016, anche le molte difficoltà che agitano oggi il suo partito. Paolo Romani, capogruppo al Senato, lo ha detto senza giri di parole, sorprendendo la platea con un'analisi spietata della situazione interna: «Non si dica che tutto va bene, perchè oggi non va bene nulla». «Siamo divisi e litigiosi, non raccontiamo cose credibili e i peggiori di noi vanno in tivù solo per dire stupidaggini», ha sostenuto. Romani ha immaginato «una cessione di sovranità» interna per far ripartire un partito che «va dalle intransigenze alla Brunetta fino alla melassa» a cui dice di appartenere, nel mezzo, lui stesso.
Sul palco dopo di lui Giovanni Toti, il consigliere politico, ha stemperato la tensione apostrofando Romani (scherzosamente) come il «rottamatore coi capelli bianchi». Ma via Twitter il capogruppo alla Camera, Renato Brunetta, gli ha risposto subito per le rime: «Grazie a Romani per avermi definito intransigente nei confronti del governo Renzi. Meglio intransigenti che inesistenti». Alle divisioni interne, con il fantasma di Raffaele Fitto ad aleggiare su tutti, si sono sommate le perplessità sugli alleati che servono a FI per riconquistare «Milano e l'Italia». Da una parte Toti e Gelmini fiduciosi in una ricomposizione di tutto il centrodestra sul modello lombardo, con la Lega e Fdi ma anche Ncd. Dall'altra quelli proprio come Romani, che nell'intervento ha messo in dubbio l'utilità per il partito di Berlusconi di fare da perno a una coalizione ormai diversa da quella del passato, che oggi andrebbe «dal Le Pen italiano Salvini, che dice cose terrificanti, ad Alfano che è il servo sciocco di Renzi».
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