ROMA. Il Senato approva la riforma elettorale, che torna alla Camera per la terza lettura: che nelle intenzioni del premier Matteo Renzi dovrebbe essere quella definitiva. Non partecipano però al voto 24 senatori della minoranza del Pd che, pur contestando l'Italicum, evitano almeno un voto contrario, che avrebbe costituito un vero strappo alla vigilia delle elezioni della presidente della Repubblica. Seppur non determinante dal punto di vista numerico, il sì di Fi lo è stato dal punto di vista politico, perchè ha permesso al Pd di superare tutti i momenti critici in Aula, l'ultimo dei quali si è verificato poco prima del voto in per una forzatura della maggioranza su un passaggio formale.
Esauriti lunedì sera i voti sugli emendamenti all'Italicum, l'Aula del Senato si è riunita per le sole dichiarazioni di voto da parte dei gruppi e per lo scrutinio finale. E qui alcuni senatori del Pd hanno annunciato la loro contrarietà alla nuova legge, soprattutto per i capilista bloccati. Nonostante le parole virulente contro il premier Renzi di alcuni Senatori della minoranza Dem, come Corradino Mineo e Lucrezia Ricchiuti, i 24 dissidenti alla fine non hanno votato contro ma non hanno partecipato alle votazioni. Questo ha fatto sì che si abbassasse il quorum per determinare la maggioranza necessaria, facendo in modo che i 47 voti di Fi e i 6 di Gal non risultassero determinanti ai fini dell'approvazione della legge (la maggioranza da sola ha espresso 131 sì rispetto ai 127 necessari).
La richiesta di verifica di governo, avanzata ieri dai bersaniani in caso di voto decisivo di Forza Italia, è stata così neutralizzata con il concorso proprio dei bersaniani che hanno fatto abbassare il quorum. Anche se l'approvazione del provvedimento ha avuto una coda velenosa per una forzatura che ha fatto arrabbiare Lega, Sel e M5s: Roberto Calderoli ha parlato di «colpo di stato», Michele Giarrusso di «attentato agli organi costituzionali», mentre Loredana De Petris è stata più diretta: «mica ci prenderete per fessi». Al momento di presentare il coordinamento formale del testo, cioè una limatura per eliminare le incongruenze lessicali e formali della nuova legge dovute alla approvazione degli emendamenti, la presidente Valeria Fedeli ha proposto un coordinamento con elementi aggiuntivi non contenuti in alcun emendamento (una modifica ad un articolo del Testo Unico sulle leggi elettorali). Pur non trattandosi di interventi sui contenuti, la minoranza ha sottolineato che non si trattava di un coordinamento solo formale, quanto piuttosto di un emendamento vero e proprio, che avrebbe avuto bisogno di una discussione e un voto. Per alzata di mano è stato invece votato e accettato come coordinamento formale tra le proteste delle opposizioni. Il nuovo Italicum va alla Camera per la terza lettura che il governo auspica sia quella definitiva, e che dovrebbe avvenire ad aprile. Ma Miguel Gotor, capofila dei bersaniani, ha detto di «lasciare il testimone» della sua battaglia contro le preferenze ai suoi colleghi della Camera. E visto che in Commissione Affari costituzionali di Montecitorio sono numerosissimi, si preannuncia un nuovo braccio di ferro.
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