ROMA. «Non votare il Jobs act è stato un gesto forte e anche doloroso. I visi di chi sceglieva di non votare li ho guardati uno per uno e so che se solo avessero potuto, quel passaggio se lo sarebbero risparmiato. Non per calcolo, ma perchè all'unità del Pd credono quanto gli altri». Gianni Cuperlo, che con altri 28 deputati ha lasciato l'Aula al momento del voto sul Jobs act, spiega, intervistato dal Corriere della Sera che «non è la start up di un metodo. Non è nato un sottogruppo pronto a fare di testa sua».
Ma, aggiunge riferendosi alla segreteria Pd, «non puoi liquidare ogni voce diversa dicendo che vuole sfasciare il Paese o il partito. 'Lo abbiamo deciso con le primariè è un modo di dirigere che non ha grande respiro». Cuperlo non vuole sentire «evocare o minacciare una scissione. Io vivo il Pd come il mio partito» e «Renzi è anche il mio segretario. Però questo partito non è quello che abbiamo pensato», rimarca. «A me - aggiunge - non importa nulla di fare la minoranza di sinistra in un partito di centro che guarda a destra. Mi batto per il partito di una sinistra rinnovata in contenuti, forme, linguaggio. Questa è la nostra casa».
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