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Decadenza di Berlusconi, la giunta del Senato dice sì al voto palese

ROMA. Il voto nell'Aula del Senato sulla decadenza di Berlusconi avverrà quasi certamente a scrutinio palese. Ma Silvio Berlusconi non ci sta e il Pdl parte all'attacco evocando nuovamente venti di crisi e annunciando battaglia in Parlamento.  Dopo due giorni di sedute e di scontri aspri tra Pd e Pdl, la Giunta per il Regolamento di palazzo Madama, presieduta dal numero uno di Palazzo Madama Piero Grasso, decide a favore della trasparenza mettendo a punto un dispositivo in cui si dicono due cose importanti. Prima di tutto che quando si deve decidere sulla decadenza per incandidabilità sopravvenuta di un senatore (il caso previsto dalla legge Severino per il Cav) il voto dovrà essere sempre palese. Secondo, che si tratta di un voto non sulla persona (per il quale sarebbe necessario lo scrutinio segreto), ma sull'integrità del plenum della Camera Alta. Pertanto dovrà essere «pubblico». E il dispositivo passa grazie ad una «nuova» maggioranza che esprime 7 sì (3 Pd, 1 Sel, 2 M5S, 1 Sc). Contro 6 no (3 Pdl, 1 Lega 1 Gal e 1 Autonomie).  All'ultimo momento, infatti, l'«ago della bilancia», Linda Lanzillotta, si schiera con Pdl-M5S e Sel. Mentre il senatore del gruppo Autonomie Karl Zeller (Svp) mantiene il punto: il Regolamento del Senato prevedeva il voto segreto e io rispetto le regole, a prescindere da chi sia l'«interessato». Io ho votato secondo la mia coscienza, dichiara alla fine l'altoatesino, e credo che il voto di oggi verrà letto dal Pdl come «una provocazione» che ricompatterà di fatto «falchi e colombe» mettendo a rischio la tenuta di Palazzo Chigi. Alla notizia della decisione presa in Giunta dopo quasi 4 ore di riunione, Berlusconi va su tutte le furie, tanto che disdice un appuntamento per pranzo con i ministri del suo partito e i parlamentari pidiellini salgono sulle barricate. A partire dal vicepremier Angelino Alfano che dà il via ad un fuoco di fila di dichiarazioni tutte volte ad annunciare 'battaglià in Parlamento. Anna Maria Bernini, relatrice del caso in Giunta, parla di «un mostro costituzionale» e di «un'ordalia barbarica» contro il Cav. Gli altri componenti della Giunta, Donato Bruno e Francesco Nitto Palma, attaccano il Pd a testa bassa. Secondo il primo si tratta di uno «strappo gravissimo e di un precedente pericoloso» visto che le maggioranze politiche cambiano. Mentre il secondo si chiede come si faccia a stare ancora al governo con i Dem. Ed è questo il tasto su cui si insiste di più. Da Renato Schifani a Maurizio Gasparri, tutti chiedendo «risposte adeguate» ad una forzatura così grande. In realtà gli spiragli perchè alla fine prevalga il voto segreto esistono ancora, anche se minimi. Nonostante la decisione della Giunta, infatti, resta in piedi la norma (art.113 regolamento Senato 3 comma) che dà la possibilità a 20 senatori di chiedere uno scrutinio non palese nel caso in cui si debba tutelare la corretta applicazione di alcuni articoli della Costituzione: quelli che vanno dal 13 al 32 (eccetto il 23). Nel caso di Berlusconi, 20 senatori Pdl potrebbero invocare il rispetto dell'art.25, quello che prevede l'irretroattività della norma, cioè della Severino. Ma poi dovrà essere sempre Grasso a decidere, consultando magari ancora una volta la Giunta, la cui maggioranza, però, è ormai schierata a favore della trasparenza. Il voto sulla decadenza che molti prevedono per metà novembre, anche se si dovrà riconvocare una Conferenza dei Capigruppo per decidere la data (M5S insiste sul 5 novembre), non promette nulla di buono per la salute del governo. Se è vero, infatti, che, in caso di «salvataggio» del Cav attraverso il voto segreto, l'esecutivo sarebbe stato a rischio, è altrettanto vero che i falchi stavolta potrebbero portarsi dietro le colombe sulla strada della sfiducia a Letta per quella che nel Pd viene già definita «rappresaglia». E in questo caso le cose per Letta potrebbero mettersi male. A meno che, si osserva, dal Colle non si faccia un altro «miracolo» per riportare la pace. O si punti a una nuova maggioranza. Magari quella che si è saldata in Giunta, anche solo per fare la riforma elettorale.

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