Un appello all’unità del Paese, incrinato poi dalle accuse all’amministrazione Biden (nominato solo una volta) e ai dem. L’impegno a riportare «rapidamente» la pace nel mondo, dall’Ucraina a Gaza, con la minaccia ad Hamas che «pagherà un caro prezzo se non libera i prigionieri». E la promessa che il primo giorno del suo insediamento allargherà le trivellazioni petrolifere e chiuderà il confine, dove completerà il muro. Seguiranno «la più grande deportazione nella storia del Paese» e un altro taglio delle tasse.
Sono i punti principali del discorso di accettazione «con fede, devozione e orgoglio» da parte di Donald Trump della (terza) nomination per la Casa Bianca nella notte conclusiva della convention repubblicana nel Fiserv Forum di Milwaukee, sotto una suggestiva pioggia di 100 mila palloncini rossi, bianchi e blu, i colori della bandiera americana, sulle note dell’aria «Nessun dorma» della Turandot di Puccini (con il finale «Vincerò, vincerò).
Un intervento di 90 minuti, uno dei più lunghi nella storia delle convention americane, sullo sfondo delle immagini di una Casa Bianca che sente già nuovamente sua.
Alla vigilia il tycoon aveva spiegato di averlo modificato dopo l’attentato, sfumando gli attacchi a Biden e puntando sull’unità del partito e del Paese.
Ma a metà, pur mantenendo sempre un tono pacato, quasi presidenziale, con ripetuti accenni alla fede, non ha saputo rinunciare a qualche attacco pesante.
«Sarà una vittoria incredibile», ha esordito davanti ad una folla in delirio, con alle spalle tutta la famiglia riunita, compresa l’applauditissima Melania (che però aveva rifiutato di parlare) e Ivanka in una delle loro rare apparizioni elettorali. «Corro per diventare presidente di tutta l’America, non di metà dell’America, perché non c’è vittoria nel vincere per metà dell’America», ha proseguito. Poi ha raccontato nei dettagli l’attentato subito, convinto di essere sopravvissuto perchè «avevo Dio dalla mia parte», come hanno suggerito molti dei relatori in questi quattro giorni di kermesse.
«Fight, fight, fight», ha scandito in coro la platea ripetendo le parole che il tycoon ha gridato dopo gli spari, ricordandole sul palco mentre scorrevano le immagini del sangue.
«Non dovrei essere qui stasera», ha aggiunto, con la folla che rispondeva «Invece sì». Quindi ha chiesto un minuto di silenzio per Corey Comperatore, il vigile del fuoco rimasto ucciso nell’attentato, baciando il suo elmetto e mostrando la sua giacca da pompiere.
Sul fronte internazionale, The Donald - che oggi avrà una telefonata con Zelensky - ha promesso la pace, senza spiegare come: «metteremo fine ad ogni singola crisi internazionale che è stata creata dall’amministrazione in carica, inclusa l’orribile guerra tra Russia e Ucraina. Con me non sarebbe mai successo. E quella causata dall’attacco di Hamas contro Israele», ha aggiunto Trump, secondo cui durante la sua presidenza l’Iran non aveva un soldo».
Del resto lui è amico anche del leader nordcoreano Kim Jong Un: «Credo di mancargli», si è lasciato sfuggire.
Sul piano interno ha sferrato un attacco all’amministrazione e ai dem, definendo l’ex speaker della Camera Pelosi «crazy Nancy».
«Non dobbiamo - ha accusato - criminalizzare il dissenso o demonizzare il disaccordo politico, che è ciò che sta accadendo ultimamente nel nostro Paese a un livello che nessuno ha mai visto prima. In questo spirito, il partito democratico dovrebbe immediatamente smettere di utilizzare il sistema giudiziario come un’arma e di etichettare il proprio avversario politico come nemico della democrazia», ha denunciato. «Soprattutto perché non è vero. In effetti, sono io a salvare la democrazia per il popolo del nostro Paese», ha aggiunto il presidente, sotto processo per i tentativi di ribaltare il voto nel 2020, culminati nell’assalto al Capitol.
«Dobbiamo salvare il Paese da una leadership totalmente fallimentare e incompetente. Abbiamo un’inflazione che sta rendendo la vita insostenibile alle famiglie come mai prima», ha tuonato, evocando un Paese «in declino».
Sull’immigrazione il tycoon ha rilanciato il pugno duro, ossia «la più grande deportazione di massa» contro migranti «che sottraggono il lavoro agli americani nati nel Paese, compresi gli afroamericani». «Siamo diventati una discarica per il mondo, che ride di noi», ha aggiunto con una battuta di cattivo gusto.
Persone:
Caricamento commenti
Commenta la notizia