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Israele, Netanyahu: «Finché sarò premier nessuno Stato palestinese»

A Gaza 25 mila morti, protesta dell’Onu. Delirante racconto di Hamas sugli attacchi del 7 ottobre: «Un passo necessario»

Benyamin Netanyahu sbatte di nuovo la porta in faccia a Joe Biden e all’Ue: finché sarà premier, non ci sarà nessuno Stato palestinese, tantomeno con sovranità su Gaza. Malgrado le richieste unanimi in tal senso di Washington, Bruxelles e praticamente di tutte le principali capitali europee.

«Ho chiarito al presidente Usa - ha detto il primo ministro dopo il colloquio di venerdì tra i due - la determinazione di Israele a conseguire tutti gli obiettivi della guerra e a garantire che Gaza non rappresenti più una minaccia per Israele». La Striscia dovrà essere «smilitarizzata» e «restare sotto il pieno controllo di sicurezza israeliano», ha insistito Netanyahu respingendo «le enormi pressioni dall’esterno e all’interno del Paese». «È stata questa mia ostinazione - ha rivendicato il premier - a impedire per anni» la creazione di «uno Stato palestinese che avrebbe costituito un pericolo esistenziale per Israele. Finché sarò primo ministro, questa sarà la mia posizione». Respinte al mittente anche le richieste poste da Hamas per la liberazione degli ostaggi: significherebbe che i soldati di Israele «sono morti invano» perché la fazione palestinese chiede «l’uscita dell’esercito da Gaza e la sua permanenza al potere». Due condizioni impossibili da accettare per lui.
Netanyahu ha così approfondito ancora di più il solco con l’amministrazione Biden e con l’Europa, in un braccio di ferro sul quale ha evidentemente deciso di puntare tutte le sue carte per rimanere in sella. Alla luce di ciò - mentre a Gaza i morti denunciati da Hamas hanno superato la soglia dei 2 5mila e l’esercito ha trovato un tunnel in cui è stata tenuta una parte degli ostaggi - i tentativi di mediazione di Usa, Qatar ed Egitto segnalati dal Wsj per una ripresa dei negoziati sul cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi sembrano destinati all’ennesimo fallimento. La proposta - che prevede un piano in 90 giorni in tre fasi - contiene ad esempio la richiesta, già bocciata dal governo Netanyahu, del ritiro totale dell’esercito da Gaza al termine dei tre mesi.

Biden tuttavia non molla e, come riferisce il sito Axios, intende continuare a premere per un grande accordo in Medio Oriente, con la speranza che si possa concretizzare prima delle elezioni di novembre nonostante l’opposizione di Netanyahu. In base al piano Israele dovrebbe ottenere la normalizzazione dei rapporti con Riad in cambio di un percorso «irreversibile» verso uno Stato palestinese e di un ruolo dell’Anp a Gaza nel post-Hamas. Difficilissimo da far passare con Bibi ancora al potere.

Fatto sta che al 107° giorno di guerra il segretario generale Antonio Guterres ha denunciato che «le operazioni militari di Israele hanno causato distruzioni di massa e ucciso civili su una scala senza precedenti» durante il suo mandato. «Questo - ha aggiunto riferendosi ai 25.105 morti dall’inizio della guerra, secondo il bilancio di Hamas - è straziante e assolutamente inaccettabile. Il Medio Oriente è una polveriera, dobbiamo fare tutto il possibile per evitare che il conflitto si accenda in tutta la regione».

Hamas racconta il 7 ottobre

Nessun massacro, nessuno stupro e nessuna decapitazione di bambini. Solo una «giusta» risposta all’occupazione israeliana e ai suoi militari, anche se nel corso degli scontri e del caos alcuni civili ci sono andati casualmente di mezzo. Hamas racconta per la prima volta la sua delirante versione degli attacchi del 7 ottobre in un articolato documento di 16 pagine postato su Telegram «nel nome di Allah» con tanto di indice e foto. Un atto d’accusa contro Israele e i suoi protettori internazionali, Stati Uniti in testa, e una memoria difensiva che invoca i «valori islamici» che tutelano donne, bambini e anziani.

Gli attacchi del 7 ottobre sono stati un «passo necessario» per «affrontare tutte le cospirazioni israeliane contro il popolo palestinese» e «i combattenti palestinesi hanno preso di mira solo i soldati dell’occupazione e coloro che portavano armi contro il nostro popolo», è il racconto di Hamas, che precisa come «forse si sono verificati alcuni errori durante l’implementazione dell’operazione Alluvione Al-Aqsa a causa del rapido collasso del sistema militare e di sicurezza israeliano». Ma, scandisce, «se ci sono stati casi in cui sono stati colpiti civili, questo è accaduto accidentalmente e nel corso dello scontro con le forze di occupazione». «Evitare danni ai civili, in particolare bambini, donne e anziani è un impegno religioso e morale di tutti i combattenti delle Brigate Al-Qassam», precisa Hamas, definendo una «menzogna» il numero di «40 bambini decapitati» per poi proseguire: «Non vi è alcuna prova di stupro di massa», un’accusa utilizzata «per alimentare il genocidio a Gaza» da parte di Israele, al quale «l’amministrazione statunitense ha fornito il sostegno finanziario e militare e che, insieme ai suoi alleati occidentali, ha trattato sempre “come uno Stato al di sopra della legge».

Una missione militare «forte», allargata e il più possibile partecipata nel Mar Rosso tempestato dagli attacchi degli Houthi. L’Unione europea si avvia a lanciare una delle più importanti operazioni congiunte della sua storia, con l’Italia in prima fila. La proposta della missione navale sarà sul tavolo del Consiglio Affari Esteri di oggi. L’obiettivo di Bruxelles è approvare in via definitiva la missione nella riunione dei ministri degli Esteri del 19 febbraio. Ma di certo si entrerà nel vivo del dossier nell’ambito di un incontro complesso, che affronterà tre grandi crisi: il conflitto tra Israele e Hamas, l’escalation nel mar Rosso, e il conflitto in Ucraina. Sono tre i Paesi che si stanno muovendo da attori protagonisti nell’organizzazione della missione: Germania, Italia e Francia.

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