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«Portate via i corpi»: il tanfo dei morti a Gaza - Il reportage

Si accumulano i cadaveri, appello degli ospedali alle famiglie

Il fumo si alza a seguito di un attacco aereo israeliano nella zona settentrionale di Gaza City

Il tanfo dei morti è la prima cosa che aggredisce chi entra nei poveri ospedali nel sud della striscia di Gaza. Le loro strutture non sono adeguate a raccogliere le decine di vittime che si sono aggiunte la scorsa notte dopo i bombardamenti israeliani a Rafah e Khan Yunes. Per non parlare delle centinaia che arriveranno stanotte. Chi entra è costretto a mettersi una mascherina, ma anche così l’odore è nauseabondo. La corrente elettrica scarseggia e l’aria condizionata è riservata al pronto soccorso e alle sale chirurgiche. I corpi sono raccolti in tende appartate, dove viene richiesto ai congiunti di riconoscere le salme e di portarle via il più presto possibile. Ma l’opera di identificazione di cadaveri spesso sfigurati o dilaniati è difficile. I brandelli dei vestiti possono servire a volte a dare una certezza.

Lunedì l’aviazione israeliana ha colpito a Rafah (al confine con l’Egitto) un edificio e ne ha danneggiati altri cinque, provocando la morte di 24 persone. Similmente a Khan Yunes un altro bombardamento ha provocato 50 morti. «Un tempo - ha ricordato qualcuno - Israele avvertiva prima degli attacchi. Un tempo sapeva anche centrare con precisione il proprio obiettivo sparando nella finestra del suo appartamento. Così anni fa un comandante della Jihad islamica fu ucciso nel proprio letto, senza danni per i vicini». Adesso invece l’aviazione ha colpito abitazioni che in questi giorni sono piene di sfollati, con decine di persone in ogni appartamento. Il direttore del nosocomio Abu Yusef al-Najjar, a Rafah, è disperato. «Il mio ospedale - ha detto - ha solo 40 letti. Ed in breve tempo sono arrivati qua 150 feriti. Abbiamo dovuto smistarli altrove». Ma anche gli altri ospedali della zona annegano.

La necessità imperiosa di aiuti umanitari è ovunque il tema del giorno. Centinaia di camion con aiuti provenienti da Egitto, Qatar e Turchia sono fermi da ieri al valico di Rafah, sul versante egiziano. Hanno medicinali e, ancora più importante, combustibile per mettere in moto i generatori. Nel frattempo l’Organizzazione mondiale della Sanità ha fatto presente che le scorte di cibo a Gaza stanno calando e potrebbero esaurirsi nei prossimi giorni. In particolare si parla di frutta, verdura, uova e latte. Su istruzione di Israele ancora oggi nel sud della Striscia giungono palestinesi provenienti dal Nord. Nelle strade di Deir el-Ballah, Khan Yunes e Rafah trovano montagne di immondizia che da sabato 7 ottobre nessuno ha più raccolto. Il tanfo dell’immondizia si unisce a quello dei corpi rimasti ancora sotto le macerie. Corpi che in parte non è possibile estrarre a mano. Nel sud della Striscia come a Gaza City occorrono ruspe pesanti: ma scarseggiano, ed in ogni caso manca il combustibile. La benzina viene razionata e nelle stazioni, dopo lunghe code, ogni automobile riceve al massimo un litro e mezzo o due.

In questo disastro umanitario l’unico raggio di luce è rappresentato dagli Stati Uniti. «Speriamo molto in Joe Biden», concordano tutti nel sud della Striscia. Domani il presidente degli Stati Uniti sarà infatti a Gerusalemme. «Lui è l’unico che può convincere Israele ad aprire il valico di Rafah e a fare entrare gli aiuti». Arriverà in Israele alle 10 di mattina e partirà alle 17. A Rafah, Deir el-Ballah e Khan Yunes saranno tutti sintonizzati su al-Jazeera per sapere col fiato sospeso se sarà lanciata loro la ciambella di salvataggio, o se la situazione continuerà ad avviarsi verso la catastrofe.

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