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L'Iran teme proteste e critica il Nobel a Narges Mohammadi: «Faziosi»

Schiaffo al regime dopo il caso Armita che ha scosso il Paese

Un post sul profilo Facebook Hengaw Organization for Human Rights: ancora in coma in ospedale Armita Geravand, la sedicenne che domenica sera, secondo il gruppo curdo per i diritti umani Hengaw Organization for Human Rights, ha avuto uno scontro con la polizia morale perché non indossava il velo e avrebbe sbattuto la testa contro un palo del vagone della metro. Hengaw ha pubblicato una foto della giovane con la testa fasciata nel reparto di terapia intensiva dell'ospedale Fajr

Sui canali social legati alle opposizioni iraniane in molti dicono che il regime dell’ayotallah Ali Khamenei stia spingendo per mantenere attaccate le macchine che tengono in vita la 16enne Armita Geravand (nella foto da un post su Facebook), finita in coma per essere stata picchiata dalla sorveglianza della metropolitana di Teheran dopo un diverbio perché non indossava il velo. Da domenica è ricoverata nell’ospedale Fajr, a Teheran, dove ieri è stato impedito alla madre Shahin Ahmadi di entrare per vederla. Dopo le sue proteste, anche lei è stata tenuta in custodia. La paura che la morte della giovane possa far esplodere una nuova ondata di manifestazioni è altissima, specie dopo che oggi il comitato del Nobel ha conferito il prestigioso premio per la Pace all’attivista iraniana Narges Mohammadi. Una scelta che Teheran ha definito «faziosa e politica».

Le similitudini tra il caso di Armita e quello di Masha Amini sono molte, ma a legare le due ragazze è soprattutto il coraggio che le ha spinte ad affrontare il regime. Una caratteristica che condividono con la neo premio Nobel Mohammadi, arrestata 13 volte, condannata cinque, destinata a scontare un totale di 31 anni di carcere per le sue lotte in favore delle donne del Paese e non solo.

Nonostante le ripetute intimidazioni, le esecuzioni e il costante deterioramento dei diritti, nel Paese sciita ancora molte persone protestano a gran voce e la concomitanza di questi due eventi potrebbe essere la goccia che fa di nuovo traboccare il vaso, a poco più di anno dalla morte di Amini. Da settembre 2022, per mesi migliaia di persone sono scese in strada al grido di «Donna, vita e libertà», subendo una repressione senza precedenti, ma riuscendo a mettere il regime di fronte alle proprie responsabilità davanti alla comunità internazionale.

Nell’ultimo anno la violenza non si è fermata. Amnesty International, in un report di agosto 2023, segnala che le autorità hanno ucciso «centinaia di manifestanti» e ne «hanno arrestati migliaia, minorenni compresi», mentre «innumerevoli altri sono stati sottoposti a torture, inclusa la violenza sessuale, durante la detenzione: alcuni di loro sono stati messi a morte al termine di processi gravemente irregolari». Ma il grido «Donna, vita, libertà» continua a risuonare per le strade di tutto il mondo e oggi è arrivato a Oslo, dove anche Berit Reiss-Andersen, presidente del Comitato norvegese per il Nobel, ha ripetuto lo slogan prima di annunciare l’assegnazione del Nobel all’attivista Mohammadi.

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