Colpi di arma da fuoco contro i manifestanti, arresti a tappeto, hijab bruciati, slogan contro gli ayatollah e negozi in sciopero. L’Iran torna a protestare nel primo anniversario della morte di Mahsa Amini, la ventenne curda che un anno fa perse la vita mentre era sotto la custodia dalla polizia morale perché passeggiava per le strade di Teheran non coprendosi correttamente il capo con il velo, obbligatorio nella Repubblica islamica fin dalla sua fondazione.
Un uomo, Fardin Jafari, è in condizioni critiche dopo essere stato colpito dal fuoco delle forze di sicurezza nella città curda di Saqqez, mentre si trovava nei pressi del cimitero dove è sepolta Mahsa, le cui vie di accesso erano state bloccate per evitare che diventasse meta di pellegrinaggi dei dimostranti. In mattinata, sempre in città, il padre di Mahsa, Amjad, è stato detenuto per qualche ora dalle forze di sicurezza che successivamente lo hanno condotto agli arresti domiciliari, assieme al resto della famiglia a cui nei giorni scorsi era stato intimato di non rilasciare dichiarazioni e di non tenere commemorazioni per la figlia.
Le principali città del Kurdistan iraniano sono state blindate dalle forze dell’ordine che hanno arrestato decine di persone, «affiliate a gruppi terroristi anti rivoluzionari che stavano organizzando raduni a Marivan e Sanandaj e pianificavano sabotaggi». Nella provincia curda, molti negozi hanno tenuto le serrande chiuse in segno di protesta mentre in altre città del Paese alcuni dimostranti sono scesi in strada, come a Mashhad, a Karaj e nella capitale Teheran, dove le forze dell’ordine hanno aperto il fuoco nella direzione dei manifestanti e arrestato alcuni di loro. La contestazione della Repubblica islamica è andata in scena anche nel famigerato carcere di Evin, dove si trovano molti prigionieri politici. Nove attiviste in arresto hanno bruciato il loro hijab in segno di protesta nel cortile della prigione, tenuto un sit-in e gridato lo slogan simbolo delle proteste dello scorso anno, «donna, vita, libertà», contestando la Repubblica islamica e la Guida suprema Ali Khamenei.
A Isfahan, nell’Iran centrale, la polizia ha fatto sapere di avere arrestato 97 persone per avere incitato la popolazione a manifestare tramite messaggi e appelli su internet.
E nel giorno del ricordo di Mahsa, il presidente iraniano Ebrahim Raisi ha scelto di visitare le famiglie di alcuni agenti delle forze di sicurezza rimasti uccisi nelle proteste esplose un anno fa, dopo la morte della ragazza. Proteste che andarono avanti per mesi, provocando in tutto la morte di almeno 530 persone, tra cui 70 minorenni, e di almeno 68 membri delle forze dell’ordine. Oltre 20mila furono le persone arrestate: sette manifestanti furono condannati a morte e impiccati.
Il regime ha intanto promesso una risposta agli Stati Uniti, alla Gran Bretagna e all’Unione europea a causa di nuove sanzioni imposte ieri per le violazioni dei diritti umani e la sanguinosa repressione di quelle proteste. «Non lasceremo queste azioni senza una risposta», ha tuonato il ministro degli Esteri Hossein Amirabdollahian, aggiungendo che le sanzioni avranno effetti negativi sui negoziati in corso per rilanciare l’accordo sul nucleare iraniano del 2015.
Nel frattempo, i dissidenti della diaspora iraniana in Occidente sono scesi in massa in piazza, assieme a molti sostenitori, per contestare la Repubblica islamica e per commemorare la morte di Mahsa. Manifestazioni si sono tenute anche in Italia, a Roma e a Bologna, e in molte altre città come Berlino, Francoforte, Colonia, Vienna, Copenaghen, Malmo e Istanbul.
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