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Il Marocco scava a mani nude, tante zone ancora isolate

Oltre 2100 morti e 2400 feriti. Nuove scosse, migliaia in strada

Si scava, senza sosta e anche a mani nude. A due giorni dal sisma che ha fatto tremare il Marocco è corsa contro il tempo per trovare ancora vita sotto i cumuli di macerie: "Le prossime ore sono cruciali", ricorda la Croce Rossa e la Mezza Luna Internazionale. Soprattutto in quelle zone rurali e remote, epicentro del sisma, che ancora restano isolate, con i soccorsi che fanno fatica a raggiungere i villaggi dove, secondo i primi bilanci, il terremoto ha ucciso oltre 1.300 persone, più della metà dei morti finora accertati: 2.122 secondo l’ultimo bilancio del governo di Rabat. Cifre drammatiche, destinate a crescere ancora.

Il collegamento tortuoso tra Marrakech e le montagne dell’Atlante è interrotto, danneggiato anche dopo che oggi la terra è tornata a tremare con una nuova scossa di magnitudo 3.9 nella stessa aerea del terremoto della notte tra venerdì e sabato.

Mentre in tutte le zone colpite si cominciano a seppellire i morti, arrivano notizie anche di stranieri rimasti uccisi (quattro francesi). In Marocco, Paese musulmano, la cremazione non è consentita e in genere i fedeli della religione islamica vengono sepolti entro 24 ore dalla morte o comunque entro il minor tempo possibile.

Nell’epicentro, segnalato nella provincia di Al-Haouz, sono state registrate quasi 1.300 vittime, il numero più alto, mentre nella seconda provincia più colpita, quella di Taroudant, i morti sono 450. Spaventa anche il numero dei feriti, arrivati a più di 2.400, molti dei quali sono gravi.

Mentre il re Mohammed VI ha chiesto alle autorità e ai cittadini di pregare in tutte le moschee del Regno, monta la polemica per gli aiuti. Il Marocco avrebbe accettato squadre di soccorritori soltanto da quattro Paesi - la Spagna, il Regno Unito gli Emirati Arabi Uniti e il Qatar - mentre tutte le altre persone che stanno aiutando sono volontarie. La denuncia arriva anche dal presidente della Ong francese Secouristes sans Frontières, Arnaud Fraisse: «Normalmente avremmo preso un aereo che decollava da Orly un minuto dopo il sisma. Purtroppo non abbiamo ancora l’accordo del governo marocchino».

Da molti Paesi è comunque partita la gara di solidarietà. L’Algeria ha proposto un piano urgente per fornire aiuti, qualora Rabat volesse accettarlo visto i rapporti con i vicini. L’Italia, tramite il ministro degli Esteri Antonio Tajani, si è detta pronta a inviare aiuti e team sanitari. Come hanno fatto la Francia, la Turchia e gli Stati Uniti. Anche Papa Francesco ha voluto esprimere con dolore la solidarietà «a coloro che sono toccati nella carne e nel cuore da questa tragedia», augurandosi la pronta guarigione per i feriti.

Per quanto riguarda gli italiani che si trovavano nel Paese durante il terremoto, la Farnesina ha fatto sapere di aver fornito assistenza a 500 connazionali con lo stesso Tajani che segue, in costante contatto con l’ambasciatore Armando Barucco, gli sviluppi della situazione.

In Marocco sono scattati i tre giorni di lutto decretati e in tutto il Paese sventolano le bandiere a mezz’asta, enfatizzando il dolore lacerante di un intero popolo. C’è chi ha visto morire i propri cari, figli, genitori, fratelli.

Ma la corsa alla ricerca dei sopravvissuti non si ferma. E ogni tanto regala un sorriso a chi da ore scava senza una pausa. Come successo per Saida Bodchich, rimasta intrappolata nella sua casa quando la scossa l’ha fatta crollare. Non è riuscita a scappare - racconta ad Al Jazeera -, ma i vicini sono intervenuti in suo soccorso e l’hanno tirata fuori. «Sono stata salvata, hanno rimosso i detriti a mani nude», ha raccontato. “Ora vivo nella loro casa, la mia è stata completamente distrutta».

Una condizione che accomuna molti. Solo a Marrakech, afferma l’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (Ocha), sono 300 mila ad aver bisogno di aiuto. Migliaia di famiglie hanno trascorso la notte all’aperto in accampamenti improvvisati, allineati sull’erba fuori dalle mura della medina, dormendo sotto le palme perché un tetto sulla testa non ce l’hanno più. Ma anche chi una casa l’ha ancora non ci vuole tornare per paura che non sia più sicura. Noureddine Lahbabi, un pensionato di 68 anni con quattro figli, sabato sera si è preparato per la seconda notte consecutiva a dormire all’aperto, come riporta il quotidiano online marocchino Hespress. «È un’esperienza dolorosa. Quando succede a tuo fratello o a tua sorella, è davvero doloroso».

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