Vladimir Putin mostra i muscoli e alza il livello della minaccia nucleare fino ai confini dell’Europa con l’annuncio che il primo luglio «sarà completata la costruzione di un deposito di armi nucleari tattiche in Bielorussia». Nel solito gioco di scarico delle responsabilità, il presidente russo dice che non si tratta di una scelta insolita e precisa che non saranno trasferite le armi nucleari in dotazione a Mosca, ma che «le metteremo lì per addestrare i ;;militari» bielorussi, «come hanno fatto gli Stati Uniti in Europa». Dieci aerei sono pronti a utilizzare questo tipo di arma», ha continuato, e «dal 3 aprile inizieremo ad addestrare gli equipaggi», mentre a Minsk è già stato consegnato il sistema missilistico Iskander, in grado di trasportare testate nucleari. L’accordo tra lo zar e il presidente bielorusso Alexander Lukashenko avverrebbe «senza violare i loro obblighi ai sensi del Trattato Start». Almeno così sostiene Mosca.
La settimana scorsa, dopo il mandato d’arresto emanato dalla Corte penale internazionale, il presidente russo aveva visitato a sorpresa la Crimea, nel nono anniversario dall’illegale annessione. Subito dopo si era recato a Mariupol, nel Donetsk. Ora, dopo che la Gran Bretagna ha annunciato l’invio a Kiev di munizioni all’uranio impoverito, considerate «una minaccia per la Russia» e un modo «per prolungare la guerra», Putin risponde allo stesso modo: «Abbiamo, senza esagerare, centinaia di migliaia di tali munizioni. Al momento non le stiamo usando. Sono armi molto pericolose per l’uomo e la natura a causa della polvere radioattiva». Dalle sue parole è chiaro, se serve le farà sparare.
Una prova di forza, quella di Putin, che interessa anche le armi convenzionali. Kiev è riuscita a sbloccare i jet, che arriveranno da Polonia e Slovacchia, e Mosca risponde con i mezzi corazzati, annunciando la produzione di «oltre 1.600 carri armati entro un anno», così da superare quelli ucraini «di oltre tre volte».
Le ultime novità alimentano ancora di più i timori dei vicini. In attesa che si sblocchi la loro richiesta di entrare a far parte della Nato, Svezia e Finlandia fanno quadrato in funzione anti-russa. I comandanti delle forze aree di Stoccolma e Helsinki hanno firmato con gli omologhi di Norvegia e Danimarca una lettera d’intenti per creare una difesa aerea nordica unificata, con l’obiettivo di contrastare la crescente minaccia di Mosca. Una scelta difensiva, quella di integrare le forze aeree, innescata dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, come sostiene il comandante delle forze aeree danesi, il maggiore generale Jan Dam.
Intanto sul fronte orientale ucraino i combattimenti non si arrestano e Bakhmut continua a essere la città più colpita. Per le forze di intelligence britanniche l’attacco russo è praticamente in fase di stallo, soprattutto a causa delle pesanti perdite subite finora da Mosca e dei dissidi con la brigata Wagner, ma Kiev predica calma e spiega che è ancora troppo presto per dichiarare un rallentamento dell’offensiva. Gli scontri a fuoco in quella direzione sono diminuiti, dice il rappresentante del gruppo orientale delle forze armate dell’Ucraina Sergei Cherevaty, ma la strada è ancora lunga e “richiede un’analisi più dettagliata».
La controffensiva, insomma, al momento non può partire. Lo chiarisce lo stesso presidente Volodymyr Zelensky, tornato a insistere con l’Europa per avere nuove armi senza le quali questo scenario è impossibile. «Stiamo aspettando le munizioni dai nostri partner», ha detto il leader ucraino, osservando che i russi usano ogni giorno una quantità di munizioni tre volte superiore a quella delle forze di Kiev e che senza di queste «non può inviare i suoi coraggiosi difensori alla controffensiva».
Dal campo alla diplomazia le cose non vanno meglio. Nei giorni scorsi l’ipotesi di una chiamata tra Kiev e Pechino era insistente, anche se i funzionari ucraini avevano più volte ribadito che diversi punti del piano cinese erano lontani dalla pace immaginata dalle loro parti. Oggi Zelensky ha frenato gli entusiasmi sostenendo che la Cina non si è proposta a Kiev come mediatore nel conflitto in Ucraina e che «non ho ricevuto la proposta di incontrarci», nonostante l’invio di messaggi diretti a Pechino per cercare di parlare con Xi Jinping.
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