Negli abissi dell’inferno di Azovstal piomba l’incubo delle armi chimiche. La grande paura che aleggiava sull’acciaieria trasformata in fortino dagli ultimi resistenti ucraini del reggimento Azov e dei marines, quella dell’impiego di mezzi non convenzionali per stanarli dai tunnel che li proteggono, assume contorni sempre più drammatici. «Questa notte è stata una notte con un numero colossale di bombe al fosforo. Cinquanta attacchi aerei, razzi, colpi di artiglieria, e tutto ciò che un barbaro può usare contro l’umanità», ha denunciato il vice comandante del battaglione, Svyatoslav Palamar, aggiungendo anche che è stato «bombardamento l’ospedale da campo militare che si trova nell’acciaieria Azovstal: ci sono morti e nuovi feriti. La sala operatoria è distrutta».
In un video diffuso dall’account Telegram di Azov, i soccorritori scavano tra le macerie lasciate dai raid, tra urla e persone terrorizzate. I combattenti ucraini promettono però di non arrendersi, mentre il governo di Kiev assicura «che si difenderà con tutti i mezzi, compresi gli attacchi ai magazzini e alle basi degli assassini russi», rivendicando che il mondo «riconosce questo diritto».
Non si sblocca neppure la situazione dei circa mille civili intrappolati nell’impianto siderurgico, in gran parte donne e bambini. Neppure il tour diplomatico tra Ankara, Mosca e Kiev del segretario generale dell’Onu Antonio Guterres è servito finora ad aprire i corridoi umanitari. Secondo il sindaco di Mariupol, Vadym Boychenko, in città cresce anche il rischio di epidemie, tra cui il colera, «a causa della mancanza di acqua e cibo e delle condizioni igieniche sempre più difficili», anche perché «migliaia di corpi stanno andando in decomposizione sotto le macerie».
Il controllo di Mosca sulla città portuale appare ormai abbastanza consolidato, al punto che, secondo il Pentagono, nonostante lo scontro su Azovstal, parte delle truppe starebbe già lasciando la città diretta a nord-ovest verso un nuovo obiettivo: Zaporizhzhia.
Le accuse sui crimini russi rimbalzano anche dal Donbass. Gli Stati Uniti hanno affermato di aver ricevuto informazioni credibili che alcuni ucraini che volevano arrendersi vicino a Donetsk sono stati giustiziati. Washington ha anche ricevuto relazioni che documentano «esecuzioni di persone alle quali erano state legate le mani, torture e violenze sessuali contro donne e ragazze». Secondo gli americani, «questi rapporti suggeriscono che le atrocità non sono il risultato di un’azione individuale, ma un modello inquietante di abusi sistematici in tutte le aree in cui sono impegnate le forze russe».
L’offensiva avanza intanto sulla direttrice strategica di Izyum, centro nell’oblast orientale di Kharkiv, dove sarebbe giunto anche il capo di stato maggiore delle forze armate di Vladimir Putin, il generale Valery Gerasimov, per sovrintendere personalmente alle operazioni. «Le forze russe hanno spostato unità aeree e fino a 500 unità di attrezzature militari per rafforzare le loro capacità offensive», ha affermato lo Stato maggiore di Kiev, spiegando che «l’offensiva più massiccia si registra a Slobozhanskyi e nella direzione di Donetsk», con diverse vittime. E tra gli uccisi c’è anche un britannico che combatteva nelle file ucraine, il veterano dell’esercito Scott Sibley, mentre un suo connazionale risulta disperso.
I rinforzi per Mosca arrivano anche dalla Libia, dove secondo il Financial Times oltre un migliaio di mercenari del gruppo Wagner - mille siriani e circa 200 russi - sono stati trasferiti sul fronte ucraino. Il contingente di soldati prezzolati sul terreno si aggirerebbe sulle 5mila unità. Ma la resistenza ucraina non molla, come dimostra anche l’annuncio dell’autoproclamata Repubblica popolare di Donetsk di cancellare per la minaccia di attacchi la parata del 9 maggio, anniversario della vittoria contro i nazisti durante la Seconda guerra mondiale, rinviandola a dopo l’eventuale conquista dell’intero territorio.
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