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Birmania, i golpisti condannano il premio Nobel Suu Kyi: insorge la comunità internazionale

Aung San Suu Kyi è stata condannata in un processo a porte chiuse e con accuse farsesche

Quattro anni di reclusione per due accuse farsesche in un processo a porte chiuse, a cui è scontato che seguiranno altre condanne: Aung San Suu Kyi, solo dieci mesi fa a capo di una Birmania avviata su un’imperfetta strada verso la democrazia, è da oggi una criminale per i militari che l'hanno deposta. E che ora sono chiaramente intenti a eliminare la Signora politicamente, con l’obiettivo di cementare la presa del potere del generale Min Aung Hlaing.

La pantomima delle accuse

Suu Kyi, 76 anni, è stata condannata per violazione delle misure anti Covid e incitamento al dissenso assieme al fidato Win Myint, ex presidente mentre lei era di fatto la leader del Paese. I due capi di imputazione - relativi alla campagna elettorale sfociata nel trionfo al voto del novembre 2020 e poi alla resistenza contro la successiva aria di golpe - sono solo i primi degli undici totali a cui deve far fronte il premio Nobel per la Pace: le accuse vanno dalla corruzione alla rivelazione di segreti di stato, e persino l’importazione illegale di walkie talkie. Cumulando le possibili pene, si superano i potenziali cento anni di reclusione, malgrado la giunta abbia dimezzato a due anni la condanna di oggi.

Le reazioni internazionali

La comunità internazionale - a parte Cina e Russia - ha reagito con sdegno. La Gran Bretagna ha definito la doppia condanna «un altro spaventoso tentativo del regime militare di soffocare l’opposizione e sopprimere la libertà e la democrazia», mentre l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Michelle Bachelet, ha parlato di «processo truccato» e di sentenza «motivata politicamente». Laura Boldrini, presidente del Comitato della Camera sui diritti umani nel mondo, ha esortato la comunità internazionale a fare «di tutto per sostenere il popolo birmano». Mentre gli Stati Uniti, per bocca del segretario di Stato Antony Blinken, hanno liquidato la sentenza come «un affronto alla giustizia».

Dov'è Suu Kyi?

Non è chiaro dove Suu Kyi dovrà scontare la condanna, anche se la giunta militare ha rassicurato che non sarà un carcere. Dal colpo di Stato del primo febbraio è detenuta in una residenza segreta nella capitale Naypyidaw, con limitato accesso ad avvocati a cui è stato intimato di non parlare con i giornalisti, e neanche a diplomatici stranieri è stato concesso di vedere la Signora.
È una situazione molto diversa dai complessivi 15 anni agli arresti domiciliari dai quali Suu Kyi fu rilasciata nel 2010: all’epoca era nella sua villa a Yangon, a volte vedeva ambasciatori o compariva nel giardino. Ora, specie partendo da leader di un partito che ha trionfato nelle due elezioni libere dalla fine della dittatura, la rimozione di Suu Kyi dalla scena è più drastica e fa trasparire la risolutezza della giunta nell’eliminare una volta per tutte l’icona del popolo.

La rabbia popolare

Il problema per i militari, però, è che nel frattempo la rabbia popolare ribolle. Anche se i numeri delle proteste contro il golpe sono lontani dalle centinaia di migliaia dei primi mesi, la resistenza è ben radicata all’interno di tutte le categorie professionali, e sempre più spesso sfocia in attacchi ad esponenti del regime e alle forze armate. Con almeno 1.300 morti da febbraio (ma si teme molti di più) e diecimila arresti, l'esercito continua imperterrito a reprimere il dissenso. Ma violenze gratuite come quelle di domenica a Yangon, quando un’auto delle forze di sicurezza ha travolto una protesta pacifica causando cinque morti, alimentano la rabbia di una popolazione che aveva assaporato un decennio di aperture democratiche.

Il governo ombra

La giunta militare ha promesso nuove elezioni entro due anni, presumibilmente dopo aver eliminato qualsiasi minaccia credibile al suo potere. Impossibile immaginare Suu Kyi alla guida della sua Lega nazionale per la democrazia, e difficile pensare che al partito sarà data la possibilità di partecipare. Un embrione di opposizione alternativa però c'è, rappresentata da un governo ombra che racchiude le speranze popolari per un futuro democratico, e molto più inclusivo di forze fresche e dei gruppi etnici rispetto a quello di Suu Kyi. Possibili germogli di futuro, in una Birmania sotto le armi dove si sta sradicando il recente passato.

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