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Impeachment, Trump assolto: "Finita la caccia alle streghe, sto tornando"

«Not guilty», non colpevole: Donald Trump è stato assolto dal Senato anche nel secondo processo di impeachment, unico presidente ad essere stato messo in stato d’accusa due volte e primo ad affrontare il procedimento dopo aver lasciato la Casa Bianca.

Nel voto finale, arrivato dopo solo cinque udienze, ai 50 dem si sono uniti solo sette repubblicani: 10 in meno di quelli necessari per la condanna, che richiede il quorum dei due terzi. Gli altri 43 eletti del Gran Old Party si sono schierati con il loro ex presidente. L’accusa era di aver istigato i suoi fan ad assaltare il Congresso il 6 gennaio scorso per bloccare la certificazione della vittoria di Joe Biden: una macchia che comunque resterà per sempre sulla sua eredità. «E' finita una caccia alle streghe», ha esultato the Donald.

«Il nostro meraviglioso movimento storico e patriottico per fare l'America di nuovo grande è solo all’inizio, nei prossimi mesi avrò molto da condividere con voi e non vedo l’ora di continuare il nostro incredibile viaggio insieme per conseguire la grandezza americana per tutti», ha promesso, ventilando già il su ritorno sulla scena. Una sentenza annunciata, dopo che il potente leader dei repubblicani al Senato Mitch McConnell aveva fatto trapelare una mail ai colleghi di partito in cui annunciava la sua intenzione di votare per l’assoluzione dell’ex presidente.

Seppellendo così ogni residua speranza dem di una condanna che richiedeva il sostegno di almeno 17 senatori del Grand Old Party. McConnell, che aveva condannato pubblicamente Trump per aver istigato l'assalto al Congresso, ha sposato la tesi difensiva dell’incostituzionalità dell’impeachment contro un presidente già decaduto, ritenendo che si tratta «principalmente di uno strumento per la sua rimozione» e che il Senato non ha quindi giurisdizione. Il leader Gop ha tuttavia sottolineato che «la Costituzione stabilisce chiaramente che i delitti di un presidente commessi nel corso del suo mandato possono essere perseguiti dopo che lascia la Casa Bianca», lasciando quindi una porta aperta alle inchieste in corso in varie procure. Un modo di rispondere al monito dei procuratori democratici, secondo cui ammettere che un presidente non possa essere giudicato dal Senato a fine incarico significherebbe che ha mani libere per qualsiasi delitto nelle ultime settimane del suo mandato.

Dopo il voto, inoltre, McConnell ha voluto ribadire la sua condanna contro Trump definendolo «praticamente e moralmente responsabile» per l'attacco al Capitol. Ma alla fine ha preferito fare buon viso a cattiva sorte e abbracciare nuovamente l’ex presidente, come la maggioranza del partito, per tentare di riconquistare il Congresso già nelle elezioni di Midterm del prossimo anno.

Nonostante l’assoluzione di Donald Trump nel processo per l’assalto al Congresso del 6 gennaio, le accuse contro di lui «non sono in discussione» e l'attacco dimostra che «la democrazia è fragile». Lo ha detto il presidente Joe Biden dopo il voto al Senato. «Anche se il voto finale non ha portato a una condanna - ha aggiunto - la sostanza dell’accusa non è in discussione. Questo triste capitolo della nostra storia ci ha ricordato che la democrazia è fragile. Che deve essere sempre difesa. Che dobbiamo essere sempre vigili», ha concluso in una dichiarazione.

La sentenza decide il destino, ora nuovamente incrociato, di Trump e del Grand Old Party: il primo, salvo sorprese sul fronte giudiziario, potrà ricandidarsi nel 2024 tenendo la presa sui repubblicani, il secondo è destinato a restare un partito populista e sovranista, col rischio però di fratture interne. La resa dei conti è stata aperta da una piccola fronda parlamentare e da pezzi da novanta come Nikki Haley, l’ex ambasciatrice Onu nominata da Trump e possibile candidata alla Casa Bianca nel 2024, che ha già scaricato l’ex presidente. L’ultima udienza si era aperta con una mossa a sorpresa dell’accusa, che aveva chiesto e ottenuto la possibilità di convocare testimoni, col sostegno di cinque senatori repubblicani. La prima doveva essere Jaime Herrera Beutler - uno dei dieci deputati repubblicani che ha votato per l’impeachment di Trump - dopo le sue imbarazzanti rivelazioni di venerdì. La parlamentare ha confermato in una nota che il leader del suo partito alla Camera Kevin McCarthy le ha riferito che in una telefonata durante l’assalto al Congresso che l’ex presidente stava dalla parte dei rivoltosi e si rifiutava di fermarli.

La possibile citazione di testi ha seminato però il caos in aula ed evocato lo scenario di uno slittamento anche di giorni del processo, col rischio di ostacolare l’agenda di Joe Biden, a partire dai nuovi aiuti contro la pandemia. La difesa aveva minacciato di chiamare almeno 100 testimoni, dalla speaker della Camera Nancy Pelosi alla sindaca dem della capitale Muriel Bowser, aprendo un vero e proprio vaso di Pandora. Dopo un’interruzione di un’ora e mezza che ha tenuto tutti con il fiato sospeso, le parti si sono accordate di sostituire la deposizione della deputata Gop con l’acquisizione delle sue dichiarazioni e di rinunciare ad altre testimonianze. Il dietrofront dem, anche se giustificato in parte dall’esigenza di dare priorità al programma del governo, è stato criticato sui social e da alcuni commentatori liberal. Quindi accusa e difesa sono passate alle arringhe conclusive. "Un voto storico», che mette l’America di fronte ad un bivio, ha ammonito il capo dell’accusa Jamie Raskin parlando di «prove schiaccianti e irrefutabili». «Una completa farsa dall’inizio alla fine, una spettacolo perseguito per una vendetta politica contro Trump da parte dei democratici», ha ribattuto Michael Van der Veen, uno degli avvocati di Trump, dopo aver denunciato falsamente che l’assalto al Congresso fu compiuto «da gruppi di destra e di sinistra» ed averlo equiparato alle proteste razziali del Black Lives Matter la scorsa estate.

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