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Crisi nera in Argentina, la banca centrale alza i tassi al 60%: i più alti al mondo

La protesta di sindacati e studenti, Argentina

L’Argentina di nuovo in crisi. L'impegno del Fmi a rivedere la tempistica dei pagamenti previsti nell’ambito del piano di salvataggio da 50 miliardi di dollari non basta: il peso crolla e aggiorna i suoi nuovi minimi storici, costringendo la banca centrale ad alzare i tassi di interesse di 15 punti percentuali al 60%, il livello più alto al mondo.

Un rialzo per cercare di fermare la discesa senza fine del peso, in calo del 15% al minimo di 40 per dollaro. La flessione mette sotto pressione tutte le valute dei mercati emergenti, che temono una forte ondata d’urto dal pericoloso mix Argentina-Turchia.

La paura è che Buenos Aires e Ankara non riescano a riconquistare la fiducia degli investitori, trascinandosi dietro tutti gli emergenti. Al crollo del peso si accompagna il calo di oltre il 5% della lira turca sulla scia delle preoccupazioni sullo stato di salute dell’economia e dei mercati finanziari e, soprattutto, delle ricette economiche del presidente Recep Tayyip Erdogan. L’effetto domino è immediato: il real brasiliano cala ai minimi, il rand sud africano perde oltre il 2%.

La giornata più difficile per il governo da molti mesi a questa parte si è conclusa ieri con importanti manifestazioni pubbliche non solo a Buenos Aires, ma in praticamente tutte le province argentine, a sostegno di uno sciopero dei professori di 57 università del Paese.

La principale mobilitazione è avvenuta a Buenos Aires dove decine di migliaia di insegnanti, studenti, ricercatori e cittadini hanno partecipato ad un corteo che dalla piazza del Congresso (Parlamento) si è trasferita, riempiendola praticamente per intero, nonostante l’inclemenza di una meteorologia che ha dispensato pioggia e basse temperature.

Gli slogan principali scanditi dai manifestanti hanno sottolineato la necessità di proteggere gli stipendi del personale docente dalla inflazione che viaggiava al 35% e di difendere l’identità pubblica dell’istituzione universitaria.

I sindacati del settore hanno anche respinto la decisione del Segretariato per le Politiche universitarie del ministero dell’Educazione di ridurre di tre miliardi di pesos (80 milioni di euro) il budget del settore e il congelamento delle opere di infrastruttura iniziate o previste.

La crisi argentina è precipitata nelle ultime settimane, indebolendo e facendo perdere la fiducia nel presidente Mauricio Macri. L’ultimo colpo è arrivato dall’agenzia di rating Moody's, che nei giorni scorsi ha rivisto al ribasso le stime di crescita del paese, la cui economia è prevista contrarsi quest’anno dell’1% rispetto a un +3% stimato in precedenza.

La bocciatura ha aumentato le pressioni del mercato e contribuito a spingere Macri a chiedere al Fmi si accelerare i pagamenti nell’ambito del maggiore piano di salvataggio mai approvato dal Fondo.

Buenos Aires ha già ricevuto 15 dei 50 miliardi, e il mese prossimo dovrebbe riceverne altri 3. Christine Lagarde, il direttore generale del Fmi, ha assicurato che l’istituto valuterà la richiesta e lo farà in tempi brevi.

L’obiettivo è evitare una crisi fuori controllo che peggiori ulteriormente la situazione in un Sud America già alle prese con la fuga dal Venezuela, travolga gli emergenti e faccia deragliare la ripresa mondiale.

L’impegno di Lagarde a un esame rapido non ha calmato i timori del mercato, costringendo la banca centrale al gesto estremo di portare i tassi al 60% «in risposta della situazione sui tassi di cambio e del rischio di un’inflazione ancora maggiore».

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