Jean Claude Juncker sta per volare a Washington da Donald Trump, un’occasione per tentare di ricucire i rapporti tra le due sponde dell’Atlantico deterioratisi nelle ultime settimane. Ma alla vigilia dell’incontro alla Casa Bianca il tycoon appare deciso a non fare sconti al presidente della Commissione Ue e a rinnovare la minaccia di dazi sulle auto europee. Una mossa molto temuta dalla cancelliera Angela Merkel, visto che la stretta colpirebbe soprattutto le case automobilistiche tedesche. Il presidente americano in queste ore deve però fare i conti con un pressing da parte di molti dei suoi più stretti collaboratori, che temono un «effetto boomerang» e premono perchè la linea dura venga accantonata.
La Casa Bianca - riporta Politico citando fonti dell’amministrazione statunitense - è divisa sull'idea di imporre tariffe del 20% o del 25% sulle automobili importate dall’Europa e Trump rischia di rimanere isolato. A sostenerlo come sempre nella politica della 'tolleranza zerò è il 'superfalcò Peter Navarro, consigliere del presidente per le politiche commerciali. Ma a frenare sono nomi di peso come il segretario al tesoro Steven Mnuchin, il consigliere economico Larry Kudlow e il rappresentante Usa al commercio Robert Lighthizer. Il loro messaggio è chiaro: attenzione perchè punire l’import delle auto europee può avere affetti collaterali indesiderati sull'economia americana.
Le 'colombe' parlano cifre alla mano: gli ultimi dati elaborati dal Center for Automotive Research mostrano come una stretta sull'import di auto così come immaginata da Trump (non solo verso l’Europa) porterebbe ad un aumento dei prezzi da 455 a 6.875 dollari a vettura, a seconda delle misure che verranno eventualmente decise. Inevitabile un calo dei consumi, da 494 mila a due milioni di automobili in meno all’anno, con un taglio dell’occupazione previsto tra gli 82 mila e i 750 mila posti di lavoro. Non è un caso che in una serie di audizioni al Dipartimento del commercio i rappresentanti delle principali case automobilistiche presenti in Usa hanno lanciato l’allarme. Preoccupate anche le Big Three di Detroit (Gm, Ford e Fiat Chrysler) che temono rappresaglie non tanto dall’Europa ma soprattutto dai Paesi asiatici come il Giappone o la Corea del Sud. Ma si sa, Trump ha dimostrato ormai più volte di andare avanti sulla sua strada anche a costo di scontrarsi con i suoi. Come quando costrinse alle dimissioni l’ex consigliere economico, Gary Cohn, contrario ai dazi su acciaio e alluminio.
Juncker potrebbe quindi trovare alla Casa Bianca un clima tutt'altro che amichevole, soprattutto - spiegano a Washington - se non porterà al presidente americano una proposta in grado di smorzare le tensioni. Il capo dell’esecutivo Ue «avrà tutto il tempo necessario per stare con il presidente, ma solo se ha qualcosa di interessante da dire», il messaggio che arriva dall’entourage del tycoon, quasi un monito.
La speranza nell’amministrazione Usa è che Juncker arrivi con la proposta di ridurre per due o tre anni i dazi europei sui veicoli 'made in Usà, convincendo Trump a mollare l’idea di nuove imposizioni tariffarie. Tariffe che potrebbero essere decise al termine dell’indagine ordinata dallo stesso presidente Usa alcune settimane fa, con la motivazione che l’import di auto pone possibili minacce alla sicurezza nazionale. Juncker - secondo indiscrezioni circolate a Washington - potrebbe anche chiedere la riduzione di alcune tariffe Usa, come quella del 25% sulle importazioni di camion.
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