PYONGYANG. Metà del globo è in allerta. In attesa di vedere quanto e come gli uomini che 'guidano il mondò siano pronti a dar seguito alle parole con le azioni e a trasformare i venti di guerra in un conflitto reale. Gli Usa fanno sapere di essere pronti ad un raid preventivo con armi convenzionali contro la Corea del Nord se e quando i responsabili politici saranno convinti che Pyongyang si stia preparando a un test nucleare. La Corea del Nord risponde a tono: «Siamo pronti alla guerra, se gli Usa lo scelgono». La Cina - che da lunedì sospenderà i collegamenti di Air China tra Pechino e Pyongyang - chiama alla responsabilità, 'certificandò che sì la guerra è adesso possibile in qualsiasi momento. Il Cremlino esprime preoccupazione e invita alla «moderazione».
E’ questo il clima nell’attesa del preannunciato 'grande eventò a Pyongyang in occasione domani del 'Giorno del Solè, l'anniversario della nascita del 'presidente eternò Kim il sung, fondatore dello Stato. Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump passa la giornata sul campo da golf a Mar-a-Lago ma segue e monitora gli sviluppi - dice la Casa Bianca - aggiornato da suoi collaboratori. E attende. Forte della sua decisione di aver dispiegato una «armada» in risposta alla minaccia nordcoreana. Ovvero due cacciatorpedinieri in grado di lanciare missili Tomahawk verso il sito dove sono stati effettuati test nucleari nordcoreani. Bombardieri pesanti B-52 e B-2 Spirith (stealth, invisibili ai radar) nella base aerea di Guam, pronti ad attaccare se necessario. Quindi la portaerei Uss Carl Vinson in avvicinamento. Un attacco americano potrebbe così comprendere missili e bombe, ma allo stesso tempo anche operazioni speciali e di cyber sul terreno.
Trump ha sottolineato proprio in queste ore la sua assoluta fiducia verso i militari, fino ad affermare che hanno la «totale autorizzazione» del commander in chief, come a dire 'carta biancà. A conferma di una svolta del presidente che, a meno di 100 giorni dal suo insediamento, ha virato di 180 gradi rispetto a quei commenti poco lusinghieri verso i generali che andava ripetendo nei comizi della campagna elettorale. E la sua prima settimana da commander in chief risulta particolarmente intensa: l'attacco alla Siria prima, con il lancio di 59 missili Tomahawk come rappresaglia per il raid con armi chimiche sulla regione di Idlib di pochi giorni prima, attribuito ad Assad. Poi ieri la decisione di sganciare sull'Afghanistan orientale contro i tunnel utilizzati dai miliziani dell’Isis la 'madre di tutte le bombè, l’ordigno più potente dopo l’atomica a disposizione degli Stati Uniti. Pensato come deterrente contro Saddam Hussein in Iraq, era rimasto inutilizzato dalla sua elaborazione nei primi anni 2000. Così la tattica si fa strategia e l’azione si fa messaggio: Trump non intende tirarsi indietro là dove la sicurezza degli Stati Uniti è minacciata. Il messaggio è al mondo, a Pyongyang, ma soprattutto all’America che si trova di fronte adesso ad una presidenza che si va facendo più 'leggibilè, più 'convenzionalè. Non manca il paragone, che qualcuno tra gli osservatori fa virare addirittura verso Hillary Clinton, con le aspettative in politica estera che erano più per la presidente mancata che per il tycoon anti establishment.
E’ stato lui, Trump, a creare il «circolo vizioso» accusa Pyongyang: in una intervista all’Associated Press il viceministro degli Esteri nordcoreano Han Ryol ha scandito che che di fronte a un attacco preventivo americano Pyongyang «non terrà le braccia incrociate» e che il prossimo test nucleare sarà condotto quando il quartier generale supremo nordcoreano lo riterrà più opportuno. La Corea del Nord andrà in guerra se gli Stati Uniti «lo sceglieranno», ha aggiunto, puntando il dito contro le «manovre militari spericolate» degli Usa e avvertendo: la Corea del Nord «ha un potente deterrente nucleare». «Trump provoca in continuazione con le sue frasi aggressive. Non è la Repubblica popolare democratica di Corea ma gli Usa e Trump che creano guai». Il presidente Trump aveva nei giorni scorsi twittato che la Corea del Nord «è in cerca di guai», ricordando inoltre il ruolo centrale della Cina: se non ci aiutano, aveva intimato il presidente, «faremo da soli». Pechino oggi risponde invitando ad essere vigili (o prudenti): «Sì, la sensazione è che conflitto potrebbe scoppiare da un momento all’altro - ha detto il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, stando alla Bbc - Tutte le parti interessate mantengano alta la vigilanza».
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