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Turchia viola diritti umani, la Cassazione dice no a estradizioni

ROMA. La Turchia viola i diritti umani e la situazione si è «ulteriormente aggravata» dopo il tentato colpo di stato di luglio a seguito del quale il governo Turco ha deciso di sospendere l'applicazione della Convenzione sui diritti umani. Lo sottolinea la Cassazione che per questi motivi ha deciso di non estradare in Turchia un trafficante di droga che aveva già scontato la condanna di 7 anni in Germania.

I supremi giudici hanno così bloccato il via libera al rimpatrio coatto deciso dalla Corte d'Appello di Venezia. La Cassazione ha tenuto in considerazione il rapporto di Amnesty International sulla Turchia nel quale «risultano segnalati casi di tortura e di maltrattamenti ai danni di detenuti, nonchè un eccessivo impiego della forza da parte della polizia» fatti riferiti anche da altri rapporti sui diritti umani dal 2008 al 2016 e che per questo - rileva la Cassazione - «consente di ritenere che si tratti di una situazione diffusa e non episodica, di carattere sistemico o comunque generalizzato, che finisce per determinare gravi violazioni dei diritti umani».

La Suprema Corte - nel verdetto 54467 depositato ieri - ricorda inoltre che il resoconto di una delegazione di giuristi e avvocati italiani ha constatato «un quadro assolutamente preoccupante per il rispetto dei diritti della persona, circostanza già emersa da tempo in quanto la Turchia ha subito il maggior numero di condanne in Europa per il mancato rispetto dei diritti umani».

Infine, a supporto della decisione di bloccare le estradizioni verso la Turchia, la Cassazione ricorda «le notizie apprese dalla stampa nazionale e internazionale che riferiscono, documentatamente, di destituzioni e sospensioni dall'incarico di migliaia di magistrati (circa 2.700), situazione talmente preoccupante da aver determinato il Consiglio superiore della magistratura a sospendere ogni cooperazione con il Consiglio superiore dei giudici e dei pubblici ministeri della Turchia a causa del marcato rispetto dell'indipendenza della magistratura di quel Paese».

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