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Nuovo audio di al-Baghdadi ai jihadisti: resistete a Mosul

ERBIL. Dopo quasi un anno il 'Califfò torna a far sentire la sua voce per incitare i suoi uomini trincerati a Mosul a resistere all'offensiva delle forze lealiste. Ma le parole di Abu Bakr al Baghdadi, il capo dell'Isis, risuonano come una dichiarazione di guerra al mondo intero: dagli ebrei ai 'crociatì, agli sciiti che, afferma, vogliono impadronirsi di tutto l'Iraq. E invita i jihadisti a compiere anche attacchi contro Paesi sunniti considerati nemici, l'Arabia Saudita e la Turchia.

Le forze lealiste, intanto, cercano faticosamente di avanzare verso il centro della città dai quartieri dell'estrema periferia orientale dove sono entrati nei giorni scorsi, in particolare Gogjali, ma devono ancora affrontare i pericoli rappresentati dalle innumerevoli trappole esplosive lasciate dai miliziani dello Stato islamico in ritirata, oltre che gli attentatori suicidi. Fonti militari hanno detto che un'autobomba guidata da un kamikaze è stata fatta saltare in aria da un razzo proprio a Gogjali, mentre un altro è stato messo in fuga.  Oltre 5.000 civili, ha annunciato il generale Talib Shaghati, del comando congiunto delle operazioni militari, sono stati evacuati a partire da ieri dai sobborghi nell'est di Mosul strappati all'Isis e sistemati in campi di accoglienza. Mentre le forze di sicurezza governative hanno sparato in aria per disperdere molti civili che a Gogjali si ammassavano per ricevere aiuti materiali distribuiti dal ministero della Migrazione e degli sfollati.

Il timore è che gli assembramenti di folla possano diventare obiettivi di altri attacchi jihadisti. Uno degli sfollati, intervistato dalla televisione panaraba Al Jazira, ha detto che per due giorni lui, sua moglie e i suoi figli sono stati costretti a rimanere nascosti in un sotterraneo, senza nulla da mangiare e da bere, mentre fuori infuriavano i bombardamenti. Da quando le operazioni per la riconquista di Mosul hanno avuto inizio il 17 ottobre, 20.700 persone risultano sfollate e di queste 9.700 sono bambini che hanno urgente bisogno di assistenza, secondo quanto dichiara l'Unicef. Mentre Al Baghdadi, nel suo messaggio ripreso dal Site Intelligence Group, specializzato nel monitorare la propaganda jihadista, invita gli «aspiranti al martirio» a «decimare i territori» del nemico e a «fare scorrere fiumi di sangue», da parte lealista si susseguono notizie di colpi letali inferti ai miliziani che rimangono asserragliati a Mosul.

Notizie in cui però è impossibile separare i fatti reali dalla propaganda.  In un comunicato, per esempio, la cellula di informazione sulla guerra ha detto che «almeno 67» jihadisti sono stati uccisi in un solo raid compiuto da un jet F-16 iracheno che ha colpito l'hotel Ninive Oberoi, nel nord di Mosul. Da parte sua, Hadi al Ameri, comandante della brigata Badr che è una delle componenti più importanti delle milizie sciite filo-iraniane della Mobilitazione Popolare (Hashd Shaabi), ha affermato che i suoi uomini, avanzando da ovest, sono riusciti a prendere il controllo della più importante strada di collegamento tra Mosul e la Siria, tagliando la principale rotta di approvvigionamento per la roccaforte irachena dell'Isis.

Tuttavia, l'avanzata delle forze regolari dalle periferie orientali ancora scarsamente popolate verso il cuore di Mosul - città a maggioranza sunnita dove gli sciiti non potranno entrare - si presenta ancora lunga e difficile. Il generale Maan Zaed Ibrahim, alto ufficiale della Golden Division, unità d'elite delle forze armate, ha detto alla televisione curda Rudaw che l'esercito iracheno spera di prendere il controllo della parte est della città «in pochi giorni». Soltanto dopo potrà essere iniziato l'attacco ai quartieri centrali, ad ovest del fiume Tigri. Nel frattempo rimane alta la tensione tra Baghdad e la Turchia, che insiste per partecipare all'offensiva su Mosul e nei giorni scorsi ha schierato alla frontiera carri armati e pezzi di artiglieria. Oggi l'aviazione di Ankara ha compiuto bombardamenti nel nord dell'Iraq su basi dei miliziani curdi del Pkk, che si battono per l'indipendenza dal governo centrale turco.

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