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Spari alla veglia di protesta anti-polizia, a Dallas 5 agenti uccisi da un ex militare

DALLAS. Dallas rivive l'incubo John Fitzgerald Kennedy. Colpi di arma da fuoco sono sparati contro la polizia a pochi passi da Dealey Plaza, dove Kennedy è stato assassinato: il bilancio è di cinque agenti uccisi e 12 feriti, inclusi due civili. Un attacco calcolato - una «piccola guerra» l'hanno descritta alcuni testimoni - andato in scena al termine di quella che doveva essere una pacifica marcia per manifestare contro le violenze della polizia contro i neri.

I contorni dell'accaduto non sono ancora chiari. In base alle prime ricostruzioni a sparare sarebbero stati alcuni cecchini, almeno due, appostati su vari edifici di Dallas, in quella che appare come un'imboscata calcolata e coordinata. Secondo il New York Times, il killer invece è uno solo: Micah X. Johnson, 25 anni, nero, incensurato, riservista dell'esercito che ha servito in Afghanistan e che, secondo indiscrezioni, simpatizzava per i Black Panther, il movimento militante nero contro la brutalità della polizia e il razzismo.

Johnson abitava con la madre e la polizia è in queste ore impegnata a perquisire l'abitazione in cerca di indizi e spiegazioni. L'uomo in fuga si era barricato in un garage: dopo ore di negoziati senza esito, la polizia ha deciso di usare per la prima volta un robot killer, armato di bomba, che esplodendo l'ha ucciso. «Era turbato dalle recenti sparatorie» in Minnesota e Louisiana, afferma David Brown, il capo della polizia di Dallas. «Diceva di voler uccidere i bianchi, soprattutto gli agenti bianchi» aggiunge Brown, continuando comunque a parlare di più sospetti per l'esecuzione del massacro.

Tre persone, tra cui una donna, sono infatti sotto custodia delle forze dell'ordine, che le interrogano per far luce su quella che sarà ricordata come la giornata più nera per la polizia americana dopo gli attentati dell'11 settembre 2001. L'attacco a Dallas arriva al termine di una settimana all'insegna della violenza, durante la quale due afroamericani sono stati uccisi da poliziotti. E, come già accaduto nel caso di Ferguson dopo la morte dell'afroamericano Michael Brown, manifestazioni spontanee si sono avute in tutti gli Stati Uniti.

A Dallas però la marcia pacifica ha lasciato il posto alla violenza, a un'imboscata di cui si cerca una spiegazione. È stato un «attacco violento e premeditato», dichiara il presidente americano Barack Obama da Varsavia, dove si trova per il vertice della Nato. «Gli Stati Uniti sono inorriditi. Non ci sono giustificazioni» aggiunge Obama che, da quando ha assunto la presidenza, si è trovato più volte, «troppe» come ha ribadito, a intervenire sulla violenza con le armi da fuoco, ma anche sul riaccendersi delle tensioni razziali con rapporti sempre più tesi fra polizia e minoranze.  «La violenza non è mai la risposta» gli fa eco il ministro della Giustizia, Loretta Lynch, assicurando alla polizia di Dallas tutto l'appoggio necessario alle indagini. «È una tragedia incomprensibile» aggiunge Lynch, rassicurando coloro che manifestano pacificamente. «La vostra voce è importante».

A fronte della tragedia di Dallas, la politica si ferma e abbassa i toni mostrandosi compatta. Hillary Clinton e Donald Trump cancellano gli appuntamenti elettorali in programma. «Tutti insieme dobbiamo combattere la cultura dell'odio e del disprezzo. Respingere l'odio, l'insulto, la discriminazione» afferma il premier Matteo Renzi, commentando i fatti di Dallas, una città in queste ore paralizzata.

Il centro è stato chiuso: è una scena del crimine. Ma questo non basta a fermare le centinaia di persone in queste ore nelle strade della città in una veglia per ricordare gli agenti uccisi mentre erano in servizio. L'attacco fa salire la tensione in tutti gli Stati Uniti: a New York l'allerta è alta e agli agenti è stato chiesto di essere vigili e fare attenzione quando vengono avvicinati anche solo per chiedere informazioni.

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