ROMA. Cresce l'attesa per il rientro in Italia dei due tecnici della Bonatti liberati in Libia dopo otto mesi. Il team italiano incaricato di riportarli a casa è arrivato a Sabrata, città ad ovest della capitale dove gli ormai ex ostaggi sono tenuti in custodia, ma regna l'incertezza sui tempi della partenza, forse ritardata da ulteriori trattative con chi si contende l'autorità in quella turbolenta regione.
La giornata di ieri è stata convulsa, tra accelerazioni, frenate, e nuovi passi avanti. Al mattino Gino Pollicardo e Filippo Calcagno, che ieri avevano annunciato la loro liberazione, hanno chiamato nuovamente le famiglie rassicurando di stare bene, con il morale alto e che sarebbero tornati a casa presto, senza tuttavia conoscere «i tempi e le modalità». Lo stesso Calcagno, chiamato al telefono da Skytg24, non ha tuttavia nascosto la propria tensione spiegando di «non voler parlare con nessuno in questo momento» e che «ci sono ancora carte da sbrigare».
«Stanno rientrando in Italia in queste ore», ha poi annunciato il premier Matteo Renzi. Più tardi, le famiglie hanno ricevuto una telefonata da Roma e sono partite da Monterosso (La Spezia) e da Piazza Armerina (Enna) per la capitale per riabbracciare i loro cari, attesi all'aeroporto di Ciampino. Poi, però, è arrivata la doccia fredda da Tripoli. Il governo islamista che controlla la capitale libica e, sulla carta, anche la zona di Sabrata, ha fatto sapere che i due italiani rientreranno soltanto oggi, insieme con i corpi dei colleghi rimasti uccisi - Salvatore Failla e Fausto Piano - al termine di una conferenza stampa, a mezzogiorno, proprio a Sabrata, in cui verranno spiegati i «dettagli della loro liberazione».
La pista del ritardo si è fatta più concreta dopo la notizia che un piccolo aereo italiano, probabilmente con funzionari dei servizi italiani incaricati di prelevare i connazionali, è atterrato a Sabrata soltanto nel tardo pomeriggio, lasciando intendere che le operazioni avrebbero potuto richiedere ancora più tempo. Il sindaco della città ha poi mischiato ancora le carte, assicurando che gli italiani sarebbero partiti in serata, senza però specificare se alla volta di Tripoli o dell'Italia.
Le complicazioni di questa vicenda sono lo specchio del caos che avvolge un Paese ormai senza Stato dalla fine di Gheddafi, in balia di milizie, tribù, bande criminali e jihadisti che si contendono il territorio e sfruttano gli ostaggi stranieri per finalità di riscatto o per ottenere una legittimazione politica. Proprio le autorità di Sabrata, che tengono in custodia gli italiani, rivendicano la propria autonomia da Tripoli e vogliono essere considerate un interlocutore forte per i futuri assetti della Libia. Già ieri il consiglio militare della città aveva puntualizzato che gli italiani sarebbero stati liberi di tornare a casa solo dopo essere stati interrogati. È plausibile, quindi, che il nostro team sia stato impegnato in un'ulteriore opera di mediazione.
Nel frattempo, i familiari di Pollicardo e Calcagno attendono con ansia i propri congiunti. E monta la rabbia dei familiari di chi non ce l'ha fatta. Come Rosalba Failla, moglie di Salvatore, che ha detto senza mezzi termini: «lo Stato italiano ha fallito, la liberazione dei due ostaggi è stata pagata con il sangue di mio marito». Mentre il presidente della Bonatti Paolo Ghirelli ha ammesso che «l'obiettivo è stato raggiunto soltanto a metà» .
Una volta rientrati, Pollicardo e Calcagno saranno ascoltati dalla procura di Roma per fare luce sui numerosi punti oscuri della vicenda. Al momento, infatti, non c'è certezza sulla dinamica che ha portato al loro rilascio e alla morte dei colleghi: blitz o fuga, esecuzione o fuoco 'amicò. E soprattutto, chi li ha tenuti prigionieri per così tanto tempo: criminali comuni, milizie locali o gruppi jihadisti. Dettagli importanti potranno venire fuori anche dalle autopsie sui corpi delle vittime.
Caricamento commenti
Commenta la notizia