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Molinari: da Parigi la sfida agli Stati infedeli, in Europa si rafforzi la sicurezza interna

ROMA. Il bisogno di difendere la nostra libertà è sempre la stessa «ma il metodo per farlo deve tenere conto dell'identità di una nuova tipologia di nemico». Così Maurizio Molinari, direttore de "La Stampa" dal prossimo primo gennaio, giudica il momento storico che vede l' Occidente minacciato dal terrorismo. Già inviato da Gerusalemme (dopo che, sempre per "La Stampa", era stato a New York e, prima, a Bruxelles), Molinari, è un acuto analista di politica estera oltre che profondo conoscitore del mondo mediorientale e prolifico autore di libri sulle più scottanti questioni internazionali. Da un paio di giorni è in tutte le librerie con il nuovo "Jihad.
Guerra all'Occidente" (ed. Rizzoli; pp.244; euro 18), ideale e aggiornatissimo seguito de "Il califfato del terrore". Questo suo nuovo lavoro ricostruisce, spiegandole, le dinamiche e le motivazioni storico -politico -religiose che hanno portato alla escalation jihadista, offrendo un quadro completo e documentato dell' attuale situazione medio orientale, i cui effetti ricadono ben oltre i confini geografici di quell'area.
Perché, come scrive lo stesso autore, «quando la Storia accelera, obbliga ognuno di noi ari discutere le proprie convinzioni e conoscenze, riadattandole a una realtà differente» perché «risposte e rimedi alla prima minaccia totalitaria del XXI secolo non possono essere semplicemente ritagliati su quanto avvenne nel Novecento». Perché tra video super professionali, minacce, esecuzioni di massa, decapitazioni archeologiche e attentati, la bandiera nera, simbolo del califfato islamico, dopo gli attentati di Parigi dello scorso 13 novembre non incute più solo terrore: è una minaccia che vive e si muove in mezzo a noi.

Il libro precedente era "Il califfato del terrore". Ora in libreria troviamo "Jihad, guerra all' occidente": qual è il legame fra le due opere?
«Il libro sul Califfato ha descritto il catalizzatore del fenomeno più vasto della Jihad che è invece il tema di questo ultimo volume. Si tratta di storie, vicende e dunque libri complementari: se lo Stato Islamico minaccia la nostra sicurezza è perché il mondo arabo -musulmano è stravolto dall'era della Jihad. Tutto nasce dall'imposizione degli Stati nazionali arabi frutto della decolonizzazione: si dissolvono sotto l' impatto di gruppi jihadisti che fanno riemergere l'identità tribale delle popolazioni del deserto».

Quale potere di fascinazione esercita il califfo Abu Bakr Al-Baghdadi sui propri seguaci?
«La forza di Al-Baghdadi è nell' incarnare un'ideologia totalitaria basata sull' identificazione con la violenza, fino al punto da attrarre chi persegue il dominio assoluto sul prossimo. Il richiamo all'Islam delle origini consente ad Al-Baghdadi di legittimare tale ideologia in maniera da moltiplicare reclute e volontari».

Nel libro lei scrive, ma lo ha sempre ripetuto, che il conflitto tra sunniti e sciiti è l' asse portante di questa guerra. Quanto conta questo tassello nel mosaico dell'era della Jihad?
«Nel mondo arabo musulmano ad essere in lotta sono due rivoluzioni islamiche, cinque potenze regionali, una miriade di gruppi armati e una galassia di tribù che duellano per controllare risorse, vie di comunicazione, potere a livello locale. Lo scontro, feroce, fra sunniti e sciiti deve essere letto in tale contesto. Così come quello interno ai sunniti: fra regimi e gruppi rivoluzionari».

Per il califfo chi sono i "takfiri", apostati e corrotti, da combattere?
«Per Isis i "takfiri" sono anzitutto i musulmani, sunniti e sciiti, che non seguono iL Califfo. È contro questi nemici che si indirizza la violenza, spiegando perché la maggioranza delle vittime è musulmana. L' intento del Califfo è sottomettere l' intero Islam e, solo dopo, gli altri popoli. Se ora attacca l'Europa è per far percepire ai suoi avversari, in Medio Oriente e Nord Africa, che possiede una potenza senza rivali».

Che ruolo ha l' Islam nell'ideologia dei jihadisti?
«L' Islam viene adoperato dai jihadisti come fonte di legittimazione religiosa sebbene i crimini che commettono siano in lampante contrasto con il monoteismo».

Se sarà guerra, potremmo mai vincerla contro chi mette già in conto di morire?
«Il conflitto è iniziato l' 11 settembre 2001 con l' attacco di Al Qaeda a New York. Da allora più sigle jihadisti hanno aggredito le democrazie, dimostratesi finora incapaci di difendersi con efficacia in ragione dell' assenza di una coalizione contro il nuovo nemico».

Crede che il 13 novembre sia davvero solo l' inizio della tempesta?
«Gli attacchi di Parigi del 13 novembre segnano una svolta militare di Isis: alla costruzione dello Stato Islamico sui propri territori aggiunge la sfida agli "Stati infedeli" sui loro territori. Al fine di far precipitare l' Europa in una guerra civile simile a quella che ha travolto la Siria».
Una vittoria, comunque, l' Isis l' ha già ottenuta: ha cambiato il nostro modo di vivere e ci sta abituando a convivere con l' idea di morte improvvisa...
«Rafforzare la sicurezza Interna nelle nostre città è prioritario. Poiché si tratta di un conflitto combattuto contro i civili serve un nuovo patto sociale fra cittadini e forze di sicurezza per proteggersi dai nuovi nemici».

La forza di Putin, che riscuote sempre più simpatie in occidente, deriva dal vuoto europeo che ha trovato?
«È l' intervento militare in Siria ad aver assegnato alla Russia un ruolo di primo piano nella sfida ai jihadisti. Con oltre 100 aerei ed almeno duemila uomini, fra brigate di intelligence e consiglieri militari, oltre alla flotta del Mediterraneo ed ai bombardieri strategici, Mosca è il leader di una coalizione composta anche da Iran, Iraq, Hezbollah e regime di Assad che costituisce sul terreno il più serio avversario dei gruppi islamici sunniti, aderenti o meno a Isis».

Quale può essere la contromossa dell' America di Obama?
«Per recuperare terreno rispetto alla Russia, gli Stati Uniti possono tentare di strappare a Isis la città di Raqqa, ovvero la sua capitale. Ne vediamo già le avvisaglie con gruppi ribelli curdi ed arabi armati dagli Usa che tendono ad avanzare verso Raqqa, sostenuti dai raid aerei della coalizione guidata da Washington. È uno scenario che può portare gli Usa ad impiegare, per missioni limitate, contingenti di truppe speciali».

Chi era Emanuele Corinaldi ("che scelse Gerusalemme") al quale dedica il libro?
«Era un milanese che lasciò l' Italia dopo le leggi razziali del 1938. Divenne uno speaker della BBC e, quindi, uno dei migliori traduttori dall'italiano in una dozzina di lingue. Ciò che lo distingueva era l' amore per ogni singolo vocabolo che traduceva. Scelse di vivere a Gerusalemme, dove è morto nel 1995».

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