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Tecnici italiani rapiti vicino Tripoli, due sarebbero siciliani: residenti a Enna e Siracusa

L'Unità di Crisi si è immediatamente attivata per seguire il caso ed è in contatto costante con le famiglie dei connazionali e con la ditta Bonatti

Farnesina, sede del Ministero degli Esteri

MELLITAH. È stata una lunga giornata di attesa ed apprensione quella vissuta negli uffici della Bonatti di Parma. Cronisti e telecamere fuori dai cancelli e silenzio assoluto «per tutelare», dicono in coro, «i nostri tecnici rapiti». Dipendenti e dirigenti fuggono via in auto con i finestrini delle auto sigillati, ma fra loro cresce la rabbia sui social network per qualche commento di troppo di chi anche senza la cautela del momento accusa i tecnici di «essersela andata a cercare».

Su facebook così gira un post su cui campeggia la foto scattata questa mattina nel compound di Wafa, il secondo centro della Libia dove lavora l'azienda parmigiana della Bonatti, con la scritta «Freedom for Gino, Filippo, Salvo e Fausto».

Manuel Bianchi, ex collega dei tecnici rapiti, commenta così sui social: «Quello che è successo in Libia oggi poteva benissimo accadere a me fino ad un anno fa. Ci si reca in quei posti solo per lavorare e non per divertirsi; per farvi arrivare il gas con il quale vi riscaldate in inverno, con il quale vi raffreddate in estate (ebbene sì) e con il quale vi fate da mangiare tutto l'anno. Per cui questa volta non ammetto 'se la sono cercatà, ma solo #Solidarietà».

Al di là dei messaggi sui social resta però il silenzio anche se tanti confermano di conoscere bene Gino Tullicardo, Fausto Piano, Filippo Calcagno e Salvatore Failla. I quattro sarebbero originari due della Sicilia (delle province di Enna e Siracusa) e gli altri della provincia di Roma e di Cagliari ma a Parma sono conosciuti, vista la grande esperienza maturata all'interno dell'azienda.

Filippo Calcagno, uno degli italianirapiti in Libia, è di Piazza Armerina (Enna), ha 65 anni, ed ha girato il mondo come tecnico Eni prima di lavorare per la Bonatti. L'uomo è sposato e ha due figlie. E probabilmente proprio una di queste al telefono ha detto: «Scusate ma non possiamo dire nulla».

Non sarebbe stata insomma la prima volta che viaggiavano lungo la rotta che dalla Tunisia porta i tecnici italiani nel compound di Mellitah. Di più però non è dato sapere e la frase è sempre la stessa: «Adesso dobbiamo tutelare la loro incolumità». Alla Bonatti nel frattempo arriva la solidarietà delle autorità locali, in primis del presidente della Regione Emilia-Romagna Stefano Bonaccini e del sindaco di Parma Federico Pizzarotti. «In questo momento di grande preoccupazione - afferma Bonaccini - desidero far giungere ai familiari e a tutti i dipendenti della società Bonatti la sentita vicinanza mia e della comunità emiliano-romagnola». «Mi auguro che governo e ministero facciano tutto il necessario e il possibile per riportare a casa i nostri quattro connazionali - ha scritto invece su Facebook il primo cittadino di Parma -. La notizia è difficile da digerire, ma adesso serve tutta la nostra vicinanza alle famiglie e il lavoro responsabile delle istituzioni, per far sì che la vicenda si chiuda nel più breve tempo possibile e attuando le misure necessarie per riportarli a casa». In seguito alla chiusura dell'ambasciata d'Italia in Libia, com'è noto il 15 febbraio, la Farnesina aveva segnalato la situazione di estrema difficoltà del paese invitando tutti i connazionali a lasciare la Libia.

 

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