MOSCA. Omicidio politico all'ombra del Cremlino: Boris Nemtsov, storico esponente liberale russo e oppositore irriducibile di Vladimir Putin, è stato ucciso stanotte a pochi passi dalla cittadella del potere di Mosca in un agguato che appare anche un guanto di sfida. Putin stesso si è affrettato a condannare il delitto come «un crudele assassinio», ma ha parlato pure di «provocazione», annunciando una immediata consultazione con i vertici della sicurezza e il suo «diretto controllo» sulle indagini.
Nemtsov, 55 anni, ex vicepremier nella stagione della presidenza Ieltsin, è caduto sul ponte Zamoskvoretskiy, di fronte alla basilica di San Basilio e a pochi passi dalla piazza Rossa. A centrarlo alla spalle, secondo il ministero dell'Interno, almeno quattro colpi di arma da fuoco sparati da uno o più killer che erano a bordo di un'automobile bianca. I media riferiscono che l'uomo politico era a passeggio con una giovane donna, di 24 anni. La polizia ne ha confermato la morte poco dopo la mezzanotte locale, mentre ancora le immagini del cadavere ad occhi sbarrati sul marciapiede facevano il giro del web. E la zona si riempiva di agenti, ma anche di giornalisti, politici e gente comune. A diffondere fra i primi la notizia è stato Ilia Iashin, compagno di lotte politiche dell'ucciso, che è corso sul posto e ha descritto in presa diretta la tragedia all'agenzia Ria-Novosti: «Sfortunatamente, posso vedere con i miei occhi il corpo di Nemtsov sul ponte Zamoskvoretskiy. Vedo il cadavere e vedo tanta polizia». Una scena sinistra, sotto la pioggia, illuminata dalle luci della Mosca notturna e - a distanza - dai riflessi delle cupole colorate di San Basilio.
«Chi ha ucciso Nemtsov dovrà pagare un duro prezzo», ha commentato a caldo, sconvolto, Mikhail Kasyanov, ex primo ministro e a sua volta portabandiera dell'opposizione, precipitatosi pure sul luogo del crimine. «È una tragedia per la Russia», gli ha fatto eco Aleksiei Kudrin, ex ministro delle Finanze ed economista liberale che aveva invece accettato di collaborare con Putin prima di distanziarsene in anni recenti.
Fisico di formazione, padre di quattro figli, Boris Iefimovic Nemtsov era stato indicato nella seconda metà degli anni '90 come un possibile delfino di Boris Ieltsin per la successione al Cremlino. Alto, bruno, affascinante, buon oratore, era emerso come una delle figure più spendibili e meno impopolari fra gli allora 'giovani riformatori' della leva ieltsiniana postsovietica. Già governatore di Nizhni Novgorod, era arrivato a Mosca nel 1997 per ricoprire l'incarico di primo vicepremier nel governo guidato da Viktor Cernomyrdin. Ma quando la crisi del '98 aveva spazzato via gran parte dei giovani liberali, la sua stella aveva cominciato a declinare lasciando spazio a quella che nel giro di un anno sarebbe stata la repentina ascesa di Vladimir Putin, uscito dai ranghi dei servizi segreti.
Fu in quella fase che Nemtsov diede vita all'Unione delle Forze di Destra, una formazione liberale capace ancora di entrare alla Duma. Ma fin da subito si differenziò dagli altri cofondatori, l'ex premier Serghiei Kirienko e l'altro ex vicepremier Anatoli Ciubais, ponendosi in forte e aperta critica nei confronti di Vladimir Putin. Un atteggiamento ulteriormente approfonditosi negli ultimi anni, sullo sfondo di una polemica sempre più dura con il presidente in carica, da lui accusato di autoritarismo e bellicismo. Oppositore dichiarato in questi mesi anche della politica ucraina del Cremlino, Nemtsov aveva aderito all'ormai imminente manifestazione anti-Putin del primo marzo, convocata fra gli altri dal blogger Andrei Navalni. Oggi stesso l'ex vicepremier aveva invocato ancora una volta l'unità delle forze di opposizione russe e aveva scritto: «Se siete per la fine della guerra russa con l'Ucraina, se sostenete la fine dell'aggressione di Putin, venite alla marcia di Primavera».
La sua morte ricorda da vicino quella di altre figure scomode della vita pubblica russa. Ed è forse l'omicidio più clamoroso - anche per le inevitabili reazioni in Occidente e i sospetti che è destinato a generare - dall'agguato che il 7 ottobre 2006, sempre a Mosca, costò la vita alla giornalista Anna Politkovskaia. Appena 18 giorni fa, il 10 febbraio, era stato lo stesso Nemtsov a manifestare le sue inquietudini al sito russo Sobesednik: «Temo che Putin voglia uccidermi», aveva azzardato. E poi, senza arretrare: «Non potrei disprezzarlo di più».
Leader dell'opposizione russa a Vladimir Putin e già vicepremier liberale sotto l'ala protettrice di Boris Ieltsin, Boris Nemtsov, 55 anni, è stato un figlio 'ribelle' della nomenklatura. Nato il 9 ottobre del 1959 a Soci - il padre era stato viceministro sovietico dell'edilizia e membro del Pcus e la madre pediatra di fama nell'Urss - Nemtsov studia fisica dal 1976 al 1981. Poi nel 1986, dopo il disastro di Cernobil, organizza un movimento di protesta nell'allora Gorki, per impedire la costruzione di una nuova centrale nella regione. Sono gli anni della perestroika di Mikhail Gorbaciov. Nello stesso anno si propone come candidato indipendente per le elezioni del Soviet dei Deputati del Popolo, ma la commissione elettorale locale glielo impedisce. Nel 1989 ci riprova. Il suo programma prevede una serie di riforme, radicali per l'epoca, con idee a sostegno di una democrazia multipartitica e dell'impresa privata. Non viene eletto, ma si ripresenta nel 1990 alle elezioni del Soviet Supremo della Repubblica Russa e questa volta ha la meglio sugli altri candidati, sfidando il listone comunista.
In Parlamento si unisce alla Coalizione Riformista ieltsiniana. Entra a far parte del comitato legislativo, che si occupa delle riforme agricole e della liberalizzazione del commercio estero. In quel periodo, viene 'adottatò da Ietsin quasi come un figlio politico. Nel 1991, durante il tentato colpo di Stato dei nostalgici, Nemtsov resta al fianco di Boris Ieltsin nella resistenza. Nello stesso anno viene 'ricompensatò con la nomina a rappresentante plenipotenziario del presidente della Federazione Russa nella regione di Nizhni Novgorod. In seguito diventa governatore ed è rieletto nel 1995. Il suo incarico è segnato da un programma di riforme liberali che si traducono in una significativa crescita economica e gli valgono le lodi di Margaret Thatcher.
Nel marzo 1997, Nemtsov è nominato primo vicepremier della Russia, con il compito di riformare il settore energetico. In questo periodo conta su un buon appoggio popolare e sembra essere un potenziale candidato presidente per il 2000. Tuttavia, la sua carriera politica subisce un brusco stop nell'agosto 1998 per la crisi economica che investe la Russia e travolge il rublo. Nell'agosto 1999, prova a rilanciarsi fra i cofondatori dell'Unione delle Forze di Destra, una rinnovata coalizione di forze democratico-liberali che riceve quasi 6 milioni di voti, pari all'8,6%, alle elezioni parlamentari del dicembre dello stesso anno. Ma è un successo parziale ed effimero. Poi inizia la stagione dell'opposizione a Vladimir Putin, inflessibile su tutti i dossier più importanti: dalla questione cecena al recente conflitto in Ucraina. Fino alla morte violenta, a poche decine di metri dal Cremlino.
«Gli Stati Uniti condannano il brutale assassinio di Boris Nemtsov, e chiedono al governo russo un'indagine imparziale e trasparente» per «portare coloro che ne sono responsabili davanti alla giustizia». Lo afferma il presidente Barack Obama in una nota diffusa dalla Casa Bianca. «Ho ammirato la coraggiosa dedizione di Nemtsov alla lotta contro la corruzione in Russia e la sua volontà di scambiare il suo punto di vista con me quando ci siamo incontrati a Mosca nel 2009», ricorda inoltre Obama.
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