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Alzheimer tra speranze e prospettive

Percorsi diagnostici differenti in base alla presentazione dei sintomi per individuare la patologia in tempi più rapidi

Un percorso per arrivare prima e, laddove possibile, con un numero inferiore di esami alla diagnosi di Alzheimer. È questo l'obiettivo delle prime raccomandazioni intersocietarie europee sulla diagnosi dei disturbi cognitivi e dell'Alzheimer. Il documento, realizzato dagli esperti delle maggiori società scientifiche del settore , coordinate da specialisti dell'Università di Genova - Irccs Ospedale Policlinico San Martino, dell'Università di Ginevra e dell'Irccs Centro San Giovanni di Dio Fatebenefratelli di Brescia, sono state pubblicate sulla rivista Lancet Neurology. «Il paziente con un deficit cognitivo iniziale ha circa il 50% di probabilità di avere l'Alzheimer oppure un'altra delle varie patologie che causano disturbi neurocognitivi», spiega Flavio Nobili, co-coordinatore dello studio e professore di Neurologia all'Università di Genova.

Il nuovo documento costruisce percorsi diagnostici differenti a seconda della presentazione dei sintomi nel singolo paziente, consentendo di arrivare a individuare la patologia in tempi più rapidi e con minori sprechi di risorse. Ciò, secondo gli esperti, porterà a ridurre del 70% gli esami strumentali inutili. Le raccomandazioni «potranno essere a breve aggiornate per l'utilizzo dei marcatori di Alzheimer nel sangue», aggiunge il coordinatore dello studio Giovanni Frisoni, direttore del Centro della memoria agli Ospedali Universitari di Ginevra. Ciò consentirà «di indirizzarli alla terapia con gli anticorpi monoclonali che speriamo arriveranno presto in Europa e che, se somministrati nei pazienti giusti in una fase iniziale della malattia, potranno ritardare la perdita della memoria». Nel campo dell'Alzheimer «cominciamo a intravedere una qualche soluzione, ma i problemi restano ancora grandi. Mentre cerchiamo di risolverli, quest'anno per la Giornata Mondiale ci focalizziamo sulla riduzione del rischio. Ci sono nuovi dati, infatti, che suggeriscono che ci potrebbe essere un rallentamento o addirittura una diminuzione dei casi del 40%. Se pensiamo che nel 2050 raggiungeremo i 139 milioni di casi nel mondo, ciò equivale a una riduzione di 55 milioni di casi». È quanto ha affermato Paola Barbarino, Ceo Alzheimer Disease International, la federazione internazionale delle associazioni per l'Alzheimer e la demenza di tutto il mondo, durante una conferenza stampa al Senato, promossa dall'intergruppo Parlamentare Alzheimer e Neuroscienze. È possibile ottenere questo risultato, ha affermato Barbarino, intervenendo su 12 fattori di rischio. «Per alcuni di essi è necessario agire come società , per esempio la mancanza di istruzione o l'inquinamento. Il resto possiamo farlo noi: mangiando meglio, non fumare, bere con moderazione, fare esercizio». Resta tuttavia il problema della consapevolezza: «Troppo pochi sanno che usare l'apparecchio per l'udito o evitare di isolarsi continuando a socializzare anche da anziani sono strategie efficaci per ridurre il rischio di Alzheimer. Inoltre, nel nostro rapporto mondiale del 2019 abbiamo scoperto che il 62% degli operatori della salute nel mondo pensano che demenza e l'Alzheimer siano conseguenze dell'invecchiamento. È un grande problema su cui dobbiamo lavorare», ha concluso Barbarino.

Identificati 17 nuovi geni

Sono stati identificati diciassette nuovi geni in cinque regioni genomiche legati al rischio di Alzheimer. La scoperta, resa nota su Alzheimer's & Dementia: The Journal of the Alzheimer's Association, può aiutare i ricercatori a comprendere meglio come trattare questa condizione neurodegenerativa.

I dati includono più di 95 milioni di varianti di geni tra 4.567 partecipanti con o senza la malattia. «I precedenti studi di genomica utilizzando varianti comuni hanno identificato regioni del genoma, e talvolta geni, associati alla malattia di Alzheimer - spiega la co-autrice dello studio, Anita DeStefano - I dati del sequenziamento del genoma completo interrogano ogni coppia di basi nel genoma umano e possono fornire maggiori informazioni su quale specifico cambiamento genetico in una regione possa contribuire al rischio o alla protezione dalla malattia di Alzheimer».
Tra le diciassette varianti significative scoperte, il gene KAT8 è la variante più significativa.
In studi futuri, i ricercatori sperano di esaminare le varianti specifiche identificate, popolazione per popolazione, in campioni molto più ampi, nonchè esplorare come queste varianti influenzino il funzionamento biologico.

«Attualmente stiamo lavorando per ampliare questa ricerca al fine di utilizzare il sequenziamento del genoma completo con campioni di dimensioni molto più grandi per essere in grado di esaminare l'intero profilo di varianti genetiche, in tutto il genoma», conclude la co-autrice dello studio, Gina Peloso.
Un altro studio ha fatto emergere un elemento molto interessante. L'Alzheimer non è una singola malattia: ne esistono almeno cinque forme diverse, che presentano ognuna le proprie particolarità e che potrebbero quindi richiedere trattamenti diversi e specifici. Lo ha scoperto un gruppo di ricercatori guidato dalla Libera Università di Amsterdam, che ha pubblicato i risultati ottenuti sulla rivista Nature Aging. La scoperta è di grande importanza per la ricerca sui farmaci, perchè significa che la scarsa efficacia di alcuni di quelli già sperimentati potrebbe essere dovuta al fatto che sono stati testati su persone affette dalla variante sbagliata.

Cognizant, un aiuto indispensabile

Cognizant è un integratore alimentare con edulcorante a base di Colina Alfoscerato, Citicolina e Vitamina B12, che contribuisce al normale funzionamento del sistema nervoso, alla normale funzione psicologica e alla riduzione della stanchezza e dell'affaticamento. Colina Alfoscerato migliora la funzione cognitiva, supporta la funzione di memoria, la Citicolina è indicata nel trattamento di supporto delle sindromi parkinsoniane mentre la Vitamina B12 supporta per il declino cognitivo.

Nei soggetti anziani, grazie alla sua azione stimolante del sistema nervoso è utile nel trattamento di supporto alle: Sindromi parkinsoniane; Disturbi cognitivi primitivi o secondari dell'anziano caratterizzati da deficit di memoria, confusione e disorientamento, calo di motivazione ed iniziativa, riduzione delle capacità attentive.

Inoltre, per lo sport e il lavoro grazie alla sua azione stimolante è utile sia per migliorare la funzione cognitiva che per supportare la funzione di memoria; ma anche per aumentare l'attenzione e la concentrazione; migliorare l'umore e l'energia; migliorare la prestazione atletica.

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