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L'acqua di dieci dighe siciliane andrà solo nelle case, ortaggi e frutta rischieranno di morire di... sete

Il provvedimento sarà adottato dall’Autorità regionale di bacino. Negli impianti riservati al solo uso irriguo per adesso non è prevista alcuna chiusura dei rubinetti

Il dado è tratto, anche se l’ufficialità arriverà lunedì prossimo, 6 maggio, con provvedimento dall’Autorità regionale di bacino: visto il perdurare della siccità, quasi tutte le dieci dighe siciliane promiscue, quelle cioè utilizzate sia a scopo irriguo che domestico, saranno riservate al solo uso potabile fino a data da definire. La misura (bisogna ancora usare il condizionale) sarebbe già sul tavolo e taglierebbe, di fatto, l’acqua alle colture servite dalle strutture in questione, dall’Ancipa fino al Rosamarina, dal Castello fino al Prizzi, con una decisione senza precedenti storici, dettata dall’emergenza in atto e dalle direttive Ue - che in caso di necessità privilegiano le case rispetto ai campi - nonché dall’ultima relazione dall’Osservatorio permanente sugli utilizzi idrici, stilata lo scorso 30 aprile e in queste ore arricchita con ulteriori dati, che nel complesso degli invasi registrano poco più di 130 milioni di metri cubi di risorsa al netto dei volumi invasati da detriti e fango.

Dalla tagliola si salverebbe solo il bacino Garcia, mentre nelle dighe riservate al solo uso irriguo per adesso non è prevista chiusura di rubinetto, ma l’acqua è sempre più agli sgoccioli e per i coltivatori si prospetta un drammatico bivio, anche in una struttura come l’Arancio (Belice), dove i divieti imposti le settimane scorse dall’alga rossa hanno frenato l’utilizzo della risorsa: pure qui, «sulla base delle condizioni attuali», spiega Baldassare Giarraputo, commissario straordinario del Consorzio di bonifica Agrigento 3, «gli agricoltori dovranno scegliere quali colture privilegiare, perché non c’è disponibilità per tutte le piante. Sul bacino, difatti, sono invasati 16,5 milioni di metri cubi di acqua contro i 20 milioni di fabbisogno per le imprese. Così, continua Giarraputo, che tra poco incontrerà le organizzazioni sindacali per pianificare la campagna irrigua, se «l’agricoltore che dispone di impianti propri di approvvigionamento può fare una programmazione, gli altri devono fare attenzione».

A rischio sono soprattutto le colture ortive, che hanno bisogno di molta più acqua delle altre piante, mentre «le irrigazioni di soccorso per le coltivazioni arboree saranno assicurate, ma non potranno essere più di un paio». Insomma, se in alcune aree il bivio è tra uso domestico e uso irriguo (con la prima strada già imboccata) in altre sarà tra alberi e ortaggi. Ma chi deciderà? Per il presidente di Coldiretti Sicilia, Francesco Ferreri, «dire che gli agricoltori devono scegliere le colture da irrigare è un abominio, una cosa che non sta né in cielo né in terra. Sembra la narrazione siciliana del dopoguerra e dopo decenni nulla è cambiato, mentre si ripropone la guerra tra città e campagne, a discapito dei coltivatori, che si ritroveranno ancora una volta a scontare errori e inefficienze delle strutture preposte. Da mesi attendiamo risposte certe e concrete che non sono arrivate, ma non si può scaricare la responsabilità delle produzioni da salvare a chi ha investito nel settore. Laddove c’è l’acqua bisogna darla anche agli agricoltori e dove non c’è bisogna dare un risarcimento danni, immediatamente».

Intanto, nell’Agrigentino tremano gli orticoltori, «sia i produttori di peperoni e melanzane, che», spiega Ignazio Gibino, presidente provinciale di Coldiretti, «cominciano adesso a trapiantare, chiedendosi se andare avanti o no, sia le aziende che coltivano, ad esempio, pomodori e meloni, i primi già piantati i secondi prossimi alla raccolta, entrambi bisognosi si irrigazione di soccorso». Ma in pericolo, «a questo punto, considerando pure i tagli di risorsa idrica prospettati nelle dighe “promiscue”, ci sono tutte le colture siciliane, anche quelle arboree, dall’uva da tavola di Mazzarrone a quella da mosto nel Trapanese, dagli agrumeti della Piana di Catania a tutte le cultivar di ulivo dell’Isola, per non parlare delle albicocche e delle pesche agrigentine e nissene». Prodotti inclusi nell’elenco rosso inviato giorni fa dalla Regione a Roma per la richiesta di stato d’emergenza, insieme a cerali, nocciole, mandorle, noci, susine, fichi e pere.

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