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Aprire un negozio in Sicilia è «una missione impossibile», il tasso di denatalità raggiunge il 61%

La fotografia che emerge dal nuovo studio dell’Osservatorio Confesercenti: «Il commercio è in caduta libera»

Un negozio chiuso

Caro-vita, rallentamento dei consumi e concorrenza della grande distribuzione e del web. Il risultato? Aprire un negozio è «una missione impossibile», in Sicilia più che in altre regioni. È quanto emerge dal nuovo studio dell’Osservatorio Confesercenti sulla base di elaborazioni dei dati camerali, che se in scala nazionale, nel 2023 rispetto al 2022, stimano un calo dell’8% sul fronte dei nuovi esercizi commerciali, nell’Isola alzano l’asticella fino al 10%, una quota superata soltanto dal Lazio.

Più nel dettaglio, sul territorio da qui a fine anno alzeranno la saracinesca 1.494 attività rispetto alle 1.658 registrate durante i 12 mesi precedenti, mentre i numeri diventano ancor più impietosi se si guarda al quadro decennale. Difatti, dal 2013, quando la Sicilia contava 3.854 nuove imprese, il tasso di denatalità ha raggiunto il 61%, la quota più alta d’Italia dopo Piemonte, Sardegna e, ancora una volta, Lazio.

Il crollo delle nascite, nell’Isola come nel resto del Paese, riguarda quasi tutte le tipologie di commercio in sede fissa, con cali particolarmente rilevanti per i negozi di articoli da regalo e per fumatori, per i gestori carburanti, per edicole e punti vendita di giornali, riviste e periodici, ma anche per i negozi di tessile, abbigliamento e calzature.
Tra le attività, le nascite di imprese aumentano soltanto nel commercio via internet, ma il rialzo, sottolinea lo studio, è assolutamente insufficiente a compensare la flessione complessiva del settore.

Inevitabilmente sconfortato il presidente di Confesercenti Sicilia e di Assoturismo nazionale, Vittorio Messina, perché «i dati delle aperture messi a confronto dal 2013 al 2023 disegnano quello che sosteniamo oramai da anni e cioè che il commercio è in caduta libera e a farne le spese non sono solo le sedi a posto fisso, ma anche e soprattutto gli ambulanti. Tutto ciò è accaduto a causa dei centri commerciali artificiali e soprattutto a causa del mercato online che insieme al cambiamento delle richieste dei consumatori sta stravolgendo il sistema economico della nostra regione. Occorre che la politica prenda in seria considerazione questo cambiamento per cercare di introdurre sistemi di tutela del commercio di vicinato, affinché si arresti la desertificazione dei nostri centri storici».

A cominciare dalla filiera turistica, perché, continua Messina, «se è vero che il futuro è in mano al turismo i turisti non potranno trovarsi in centri storici pieni esclusivamente di ristoranti, pub e B&B, ma dovranno trovare anche gli esercizi di vicinato che faranno conoscere e vivere loro l’identità della nostra Sicilia. Servono incentivi ai giovani che decidono di aprire attività commerciali, sgravi fiscali e regime fiscale agevolato che tuteli “l’esistenza in vita” delle micro, piccole e medie attività che ancora resistono sotto i colpi di canoni di locazione e tributi locali esagerati, con volumi d’affari che ogni anno di più si restringono. Ma sul turismo occorre fare anche una profonda riflessione mettendo da parte i toni trionfalistici delle presenze e prendendo coscienza del fatto che la stagione estiva appena trascorsa ha fatto segnare un rallentamento generale delle presenze previste ad inizio stagione, dovuto in parte al cambiamento climatico in parte ai disagi patiti dall’aeroporto catanese. Un rallentamento che ci fa prendere atto che siamo ancora lontani dal vivere di solo turismo. Il cambiamento di un sistema economico distributivo va guidato, va assistito, per evitare che si possa verificare uno shock dal quale, per una economia fragile come la nostra, sarebbe difficile riprendersi».

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