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Luoghi di culto ed esenzione Tari, le suore di clausura pagano la tassa sui rifiuti

L’attitudine esclusiva alla preghiera non basta a salvare le suore di clausura dal pagamento della tassa sui rifiuti. Per i giudici di legittimità (sentenza 38984 diffusa oggi da Il Sole 24 ore) quello che conta, infatti, è la capacità di produrre rifiuti. La Suprema corte ha così respinto il ricorso, di un monastero napoletano di suore clarisse cappuccine, contro la condanna a pagare la Tarsu, negando l’esenzione malgrado questa fosse prevista dal regolamento comunale, per i locali destinati al culto religioso, limitatamente alla parte nella quale si svolgono funzioni religiose, con esclusione delle zone adibite ad abitazione, spiega Il Sole 24 Ore. Ad avviso della Cassazione il regolamento comunale deve essere coordinato con la norma legislativa che enuncia e delimita la nozione generale di attività di culto. La definizione di edifici destinati al culto, deve essere letta in senso restrittivo «quali luoghi dedicati alla venerazione della divinità in genere e specificamente, nell’accezione teologica- cattolica, della Trinità, dei Santi e della Madonna.» Gli ermellini chiariscono dunque che anche i regolamenti che escludono gli edifici di culto dal calcolo delle superfici per determinare la Tarsu, lo fanno sempre perché sono considerati incapaci di produrre rifiuti, per la loro natura e caratteristiche e per il particolare uso al quale sono adibiti. E non in quanto destinati al culto, circostanza che - in assenza di una specifica previsione normativa - non può giustificare l’esenzione dalla tassa.

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