Il 72% dei commercianti della Sicilia non è soddisfatto dell'avvio dei saldi. Il dato emerge da uno studio condotto in tempo reale da Confesercenti Sicilia che ha intervistato un campione di 200 esercenti del settore moda e calzature.
Per il 59 per cento dei negozianti la situazione è uguale allo scorso anno e il 13% degli intervistati ritiene addirittura che le vendite hanno subito un calo rispetto allo scorso anno. Solo un 2 per cento, dislocato tra Ragusa e Siracusa, considera, infine, l’andamento “molto buono”.
"Dai dati che abbiamo raccolto emerge una prospettiva stagnante, poco ottimistica rispetto al futuro", dice Vittorio Messina, presidente regionale di Confesercenti Sicilia.
A rimanere uguale, secondo la categoria, è anche il budget di spesa pro capite destinato agli acquisti e che non è ancora da fine crisi.
Sono stati anche sottoposti altri quesiti, dalle vendite online agli effetti del Black friday, dall’anticipazione dei saldi alle aperture domenicali e festive.
"Il giudizio positivo sull’anticipo dei saldi che abbiamo raccolto - dice Michele Sorbera, direttore di Confesercenti Sicilia –, evidenzia quanto i tempi con le politiche delle vendite online e delle fidelity card siano cambiati e quanto il settore abbia bisogno di una riforma generale a garanzia di commercianti e consumatori”.
Le vendite online non spaventano più in province dove in tanti si sono adeguati ai tempi come a Catania. Qui per l’83,33 per cento dei negozianti la crescente diffusione delle vendite online non rappresenta più un problema per l’impresa. E così è, anche se in percentuali più ridotte, a Palermo (40%) e Ragusa (44%).
Per quanto riguarda le aperture nei festivi e durante le domeniche sono ritenute positive a Caltanissetta (80%) Palermo (70%) e Catania (66,67%), decisamente meno influenti in altre città come Messina dove tutti gli intervistati si sono espressi contro le aperture domenicali e festive giudicandole “poco” (60%) o “per niente incisive” (40%).
Rispetto all’avvio anticipato dei saldi, infine, solo un 25% degli intervistati lo giudica un errore. Il 49 per cento trova la misura “corretta” mentre il 26 per cento si dichiara “indifferente”.
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