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La "giungla" dei salari accessori: a scuola la metà rispetto ai ministeri

ROMA. Dire salario accessorio per uno statale può significare poco o tanto, a seconda di dove lavora: nella scuola si deve accontentare di poco più di 3 mila euro, nei ministeri il 'gruzzolo’ diventa più che doppio e alla presidenza del Consiglio è otto volte tanto, così che tra il minimo e il massimo intercorrono oltre 23 mila euro. È questa la fotografia dell'Aran (dati 2015) su un mondo variegato, dove le differenze hanno anche ragioni strutturali: rapporto tra dirigenti e non, storia retributiva e specificità di comparto.

Ecco allora la situazione alla vigilia della riapertura della contrattazione: l'Aran, che rappresenta il governo nei tavoli, presto dovrebbe ricevere dalla ministra della P.a, Marianna Madia, il mandato ad aprire i negoziati per i rinnovi. Stando alla media di tutto il personale (dirigente e non), al gradino più basso, con precisamente 3.266 euro, c'è la scuola, dove il salario accessorio rappresenta il 12% dell'intero stipendio. Seguono le regioni e gli enti locali con 5.313 (18%), i ministeri con 6.816 (23%), la sanità con 8.670 (22%), fino ai 26.904 della presidenza del Consiglio dei ministri (47%), passando per le agenzie fiscali (11.322, 32%).

Divari così ampi possono trovare alcune spiegazioni: ad esempio, alcune indennità fisse in dei settori ricadono sulle voci stipendiali, in altri su quelle accessorie, oppure in alcuni comparti si fa sentire il peso della dirigenza, le cui retribuzioni sono legate soprattutto ai risultati. Gli squilibri appaiono comunque netti. Tanto che nella riforma del pubblico impiego, presentata in Cdm giovedì, si stabilisce che «al fine di perseguire la progressiva armonizzazione dei trattamenti economici accessori del personale delle amministrazioni», la contrattazione «per ogni comparto o area di contrattazione» opera una «graduale convergenza».

Appare quindi chiara la volontà di mettere ordine, tenendo conto che nel salario accessorio oggi finiscono straordinari e diverse indennità, anche fisse (di comparto) e non solo variabili (come quelle di turno o reperibilità). C'è poi la produttività, voce che attualmente pesa meno del 30% sul totale dell'accessorio e che invece il governo vuole elevare a «quota prevalente» (oltre il 50%). Non solo, fin qui si parla del pubblico impiego secondo la vecchia geografia (11 comparti), con la nuova tornata contrattuale, invece, l'assetto sarà quello scaturito dall'accordo della scorsa primavera (4 comparti). L'obiettivo non sarebbe un appiattimento completo, visto che alcune differenze si giustificano anche con il tipo di lavoro (basti pensare ai turni negli ospedali).

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