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Segrè: produciamo e sprechiamo troppo cibo, solo in Italia gettiamo 13 miliardi

PALERMO. «Se lo spreco di cibo fosse un Paese, sarebbe il terzo maggior inquinatore della Terra». Soltanto in Italia, un'emorragia di denaro bruciato che può sfondare, ogni anno, i 12-13 miliardi di euro. Spreco alimentare, aumento delle emissioni di gas serra,mutamenti climatici, riduzione e degenerazione delle superfici coltivabili. E conflitti, attuali e imminenti. Un diagramma, perverso, di flusso, un fiume in piena sulle economie e la stabilità politica in tutto il pianeta, «da tamponare senza più dilazioni e ragioni di Stato». Una dinamica che, secondo Andrea Segrè, ordinario di Politica agraria internazionale e comparata all’Università di Bologna, «nessuno ha più il diritto di ignorare: se dal vertice sul clima in corso a Parigi non viene fuori un impegno formale e vincolante sulla riduzione delle emissioni,con la premessa e il corollario di un protocollo altrettanto impegnativo sugli sprechi alimentari, domani sarà troppo tardi. E le conseguenze implacabili». È tante altre cose, fuori dagli ambiti accademici, Segrè: fondatore di «Last Minute Market», sistema capillare di redistribuzione dell'invenduto a costo (e chilometro) zero; presidente delv Centro Agroalimentare di Bologna; presidente della Fondazione “Edmund Mach”-Istituto Agrario di San Michele all’Adige. Soprattutto, coordinatore di «Waste Watcher», studio statistico annuale sugli sprechi di cibo in Italia, che è stato, sul tema, pietra d'angolo di Expo 2015. Voce solista nel coro dello slogan della grande rassegna milanese appena chiusa: «Nutrire il Pianeta», ricorda Segrè, «non soltanto facendo attenzione alle nicchie e all'eccellenza, ma alla garanzia per tutti di un cibo medio, buono. Sufficiente».

Professore, da Milano, con Expo, a Parigi: la correlazione fra agricoltura non sostenibile, spreco alimentare e alterazioni climatiche è ormai un' evidenza. E la necessità di porvi rimedio non appare più solo una questione etica, ma economica e politica...

«Correlazione evidente quanto diretta, se è vero che,come dicela Fao,l'impatto dell'agricoltura, dallaproduzione alla trasformazione e distribuzione, fino al cesto dell'immondizia, ha un impatto del 18-20 per cento sulle emissioni dei gas a effetto serra. Significa un rapporto di un quinto su scala planetaria. La Fao aggiunge che un terzo del cibo prodotto non finisce a tavola,ma va sprecato. Immondizia, ma ancora commestibile. Per dare un'idea, lo spreco è in assoluto il terzo fattore inquinante globale».

Nelle prime promesse ascoltate dai leader mondiali a Parigi, l'intento dichiarato di arrivare a un accordo giuridicamente vincolante sulle emissioni. Possiamo sperare in un'intesa specifica sugli sprechi?

«È il primo passo. Ineludibile. La portata etica è immane –lo stesso Pontefice ha definito ”peccato” buttar via il cibo – ma qui siamo di fronte pure al primo comandamentolaico per sperarein un futuro sostenibile. Da Parigi quell'accordo deve assolutamente venir fuori, significherebbe affrontare il problema alla base, riducendo l'impatto dell'agricoltura sulle alterazioni climatiche».

Ma praticamente come si induce la gente a non gettare via alimenti ancora integri?Come consiglia di leggere il “da consumare preferibilmente entro...” sulle etichette? Date troppo ravvicinate mettono sul tavolo anche faccende di marketing, l'intenzione di vendere di più. Il consumatore deve affidarsi solo al buonsenso?

«Lo suggerisce la parola stessa, il modo corretto di agire. ”Preferibilmente” non è una prescrizione perentoria, nel qual casola scadenza è altrettanto rigorosa. Quell'avverbio garantisce il produttore sulla, stavolta propria, garanzia in ordine al mantenimento totale delle proprietà organolettiche del prodotto confezionato.Ma andare relativamente oltre la data indicata non significa perdita delle proprietà nutrizionali o persino che il prodotto sia andato a male. Pensi ai prodotti secchi, per esempio. Poi è noto a tutti che, per dirne una, lo stesso pacco di spaghetti numero 5, ma di marche diverse, può ben riportare ”preferibilmente” diversamente datati. Sono scelte del produttore, sì, anchein ragione delle politiche di mercato. Quanto al buonsenso, tiriamolo pure fuori, ma non senza la scoperta dei... sensi. Tutti: dalla vista, al'olfatto, al gusto, al tatto, pure l'udito. Persinouno yogurt può restare buononon eccessivamente oltre la data di scadenza. Fidiamoci di noi stessi e di un'informazione ed educazione alimentare che resta la più grande scommessa da rilanciare».

E gli italiani a educazione alimentare come stanno?

«Maluccio, in termini assoluti. Nel 2015 i sondaggi sullo spreco domestico, cioè quello che finisce dentro la pattumiera di casa, che è la porzione più grossa eirrimediabile perché non recuperabile, sfiorano gli 8,5miliardi di euro.Mala forbice è più ampia, perché non tutti sono ancora consapevoli. La buona notizia, paradossalmente, è che l'anno prima il campione statistico si era fermato a 8,1 miliardi. Peggio, si dirà. Ma no, vuol dire soltanto che gradualmente c'è più coscienza degli sprechi, le cui cifre reali sono ben più alte: secondo noi, attraverso il ”Waste Watcher” annuale, almeno 12-13 miliardi di euro vannoin fumo nei cassonettiitaliani. Per spiegarmi meglio, quandolo studio fu avviato, due anni fa, a sentire il campione lo spreco... non esisteva. Cioè non era percepito come tale. Il dato era e resta sottostimato, temo attualmente fino al 50 per cento di quello reale».

Per smettere di sprecare serve passare da un' ottica “volontaristica” sullo stile dei banchi alimentari, a una più economica? E come?

«Il senso della nostra iniziativa ”Last minute market” è essenzialmente questo. Sistemi come il banco alimentare significano costi, materiali e ambientali. Cioè, ad esempio, il furgoncino, possibilmente refrigerato, che va a gasolio. Occorre invece, e lo stiamo sperimentando, mettere in rete e dunque in contatto rapido, last minute appunto, il supermarket conla Onlus, per esempiolaCaritas, purché si trovino a operare nello stesso luogo fisico e per necessità immediate. Chilometro zero, costo ambientale zero».

Tornando a scenari più ampi e apocalittici, quanto è incombente la “guerra per l'acqua” causata dalla scarsità delle risorse? «L'acqua è nel cibo. È cibo. L'80 per cento delle risorse idriche sono utilizzate per produrre cibo i conflitti si sono già aperti, e non solo quelli sotto traccia. L'innesco di alcune primavere arabe è statala penuria di pane, non scordiamolo. Lo abbiamo detto e ribadito anche a Expo: il cibo è un diritto. Il ”cibo medio”, quello buono per tutti, al di là delle nicchie e dei purmirabili presidi delle eccellenze. Gli ”ecoprofughi”da zone nonpiù coltivabili sono una realtà.Bisogna affrontare questi esodi,molto al dilà dei bellissimi esperimenti, per esempio, di viticoltura ”eroica”. Si chiama così,la coltivazionein zone ”impossibili”.Va bene la qualità selettiva,mail primo comandamento è far mangiare a sufficienza tutti».

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