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Chiarelli: «In agricoltura nuovo sviluppo solo se tuteleremo i nostri prodotti

«Altri settori in Sicilia arretrano, noi no. Dovremmo essere contenti, ma non possiamo esserlo del tutto. Oltre gli incentivi, chiediamo strumenti di legge per tutelare le nostre produzioni. Se ce li dessero, i 71 mila dipendenti in più registrati nel secondo trimestre 2015 sarebbero stati almeno 110 mila».

Alessandro Chiarelli, presidente regionale di Coldiretti, ha motivi per sorridere. Niente salti di gioia, però: «L’Unione Europea — esclama Chiarelli — si preoccupa dei passaporti delle persone, non di quelli dei prodotti. In questo momento, le uniche certezze sulla provenienza le abbiamo sulla carne. Ma solamente perchè qualcuno è corso ai ripari, dopo la morte e la disperazione prodotte nel mondo dal morbo della mucca pazza!».

Almeno in agricoltura, quindi, la nostra Isola «scopre» segnali autentici di ripresa?
«I segnali di ripresa ci sono tutti, soprattutto perchè siamo riusciti a radicare sempre di più nel cittadino l’idea di spesa consapevole. Quando facciamo le battaglie perchè non si sprechi il cibo, lanciamo un suggerimento non solo di risparmio ma anche di indirizzo. Oggi, quando il consumatore stende la mano, preferisce il prodotto italiano. E questo crea ripresa: un meccanismo virtuoso, che si inserisce nella curva di domanda e offerta».

Cresce la domanda. Solo quella interna, però?
«È aumentata enormemente sia la domanda internazionale, che quella nazionale. In un Paese in crisi come il nostro, si fa più attenzione alla qualità che alla quantità. Insomma, è passato il principio che si può mangiare meno ma bisogna farlo meglio. Ciò ha ingenerato consumi di nostri prodotti e sta facendo crescere l’occupazione. Malgrado la meccanizzazione sia sempre più spinta, infatti, in agricoltura c’è bisogno di braccia. Questo, peraltro, ci rende enormemente inclusivi...».

Cioè?
«A dispetto del caporalato, non solo nero ma anche bianco perchè alcuni Stati consentono che vengano pagati ai dipendenti 300 o 400 euro al mese, noi i migranti li teniamo a casa e li ospitiamo. Lo facciamo da tempo, cioè da quando abbiamo capito che senza di loro alcune aziende non vanno avanti. In quel ”più 71 mila dipendenti” del secondo trimestre 2015, molti sono proprio extracomunitari. Una realtà stupenda che ci consente di crescere, malgrado le agromafie».

A proposito. Nei mesi scorsi, Coldiretti ha denunciato come le agromafie — tra furti e pizzo, caporalato e contraffazioni — costino all’economia siciliana ben 5 miliardi di euro l’anno. Lanciare questo nuovo allarme è servito a qualcosa?
«Oltre caporalato e pizzo, nel 2015 dobbiamo ancora parlare di abigeato. Non possiamo non inorridire, quando pensiamo a pastori che in tasca hanno l’Iphone ma continuano a praticare furti di pecore o mucche. Qualche anno fa, dopo avere denunciato questi fatti, è stato aperto grazie alla sensibilità del prefetto di Palermo un primo tavolo per l’osservazione e il contrasto del fenomeno. Siamo altrettanti pronti, comunque, a denunciare pure chi sfrutta i lavoratori o chi chiama siciliane le mozzarelle che tali non sono. Amaramente devo dire che l’Europa di Schengen è chiusa agli uomini e li lascia morire in mare, ma è aperta alle arance di tutto il mondo. E in questo ambito nessuno si preoccupa di creare centri di identificazione».

Proteste, ancora in queste ore, per le ulteriori aperture della UE alle produzioni nordafricane. Non sarebbe meglio, piuttosto, curarsi di affrontare le sfide imposte dal mercato globale?
«Guai a dire che si devono chiudere le frontiere al prodotto extracomunitario. Sarebbe un rischio innanzitutto per noi, che abbiamo circa 110-120 mila ettari di vitato e ci fregiamo di essere la regione d’Europa con la maggiore estensione destinata alla coltivazione di uva. Lei s’immagini quanto vino dovremmo bere e persino usare per farci la doccia, se dovessimo consumarlo interamente noi. Abbiamo la necessità, allora, di esportare. Un presidente di Coldiretti, quindi, non chiederà mai che agli altri vengano chiusi i mercati ma che il vino e le altre nostre produzioni, quando vanno fuori, diano certezze di essere ”born in Sicily”. Nati in Sicilia».

Andiamo a spasso per la Sicilia. Quali territori mostrano maggiore vitalità e perché?
«Decisamente, la crescita è più robusta nelle aree meno interne della nostra regione. Perchè sono meglio servite di acqua, di infrastrutture, e possono sfruttare a pieno l’effetto-clima. Altro discorso, invece, va fatto per le zone interne come quelle ennesi o le montagne del Palermitano. Soffrono di più perchè sono vocate alla cerealicultura e alla rotazione pluriennale. Sono, peraltro, obbligate alla zootecnia estensiva che oggi è mal protetta. A questo si unisce l’incapacità della politica a risolvere il problema dell’acqua, che ci viene chiusa e ha costi enormi».

Lei è anche ai vertici di «Terranostra», l'organizzazione dei titolari di aziende agrituristiche. Indicatori in crescita?
«Le imprese agrituristiche sono oltre 600 in Sicilia e molte di queste stanno operando davvero bene. Purtroppo, la mancanza di una regolamentazione regionale consente a troppi abusivi di esistere e prosperare. Ad ogni modo, chi fa agriturismo in modo legittimo e forte sta ottenendo ottimi risultati. Nella mia azienda, ad esempio, le presenze sono cresciute del 20-25 per cento. Senza contare, poi, che riusciamo senza alcun costo pubblicitario a promuovere nel mondo i prodotti siciliani, perchè sono proprio i nostri clienti a farsene testimonial».

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