NEW YORK. Il boom della produzione petrolifera spinge gli Stati Uniti a tornare sui propri passi. E valutare, per la prima volta negli ultimi 40 anni, l'allentamento del divieto di esportazioni petrolifere scattato dopo che l'embargo arabo aveva causato uno shock all'economia.
Il primo passo è stato compiuto in giugno, quando il Dipartimento del Commercio ha consentito a Pioneer Natural Resources di esportare petrolio americano non raffinato a venditori stranieri che possono trasformarlo in benzina e combustibile per aerei. A dicembre il governo ha autorizzato l'esportazione di petrolio ultra-leggero leggermente raffinato senza speciali permessi.
La diffusione su larga scala delle tecniche di estrazione collegate al cracking e la conseguente esplosione degli Stati Uniti come produttore di petrolio fa sentire i suoi effetti sui prezzi del greggio, in forte calo, sui colossi energetici, che procedono pesanti in Borsa, e sugli investimenti nel settore. I prezzi del petrolio Wti sono ai minimi dal 2009, e anche il Brent è in forte calo, con ripercussioni sulla benzina, scesa negli Stati Uniti anche fino a due dollari al gallone (3,8 litri), in quello che le autorità definiscono come un ''taglio delle tasse'' per gli americani.
Le aziende comunque resistono e investono. L'Eni si è aggiudicata, insieme all'inglese Medoilgas, una licenza per l'esplorazione di un'area nell'Adriatico di possibili campi per l'estrazione di gas e petrolio. Il consorzio fra l'americana Marathon Oil e Omv si è aggiudicata sette delle dieci aree concesse. L'amministrazione Obama sta valutando la possibilità di allentare ulteriormente le norme vigenti che vietano le esportazioni petrolifere, ma le difficoltà non sono poche.
Da una parte la contrarietà di parte del Congresso, dall'altro lato le difficoltà di trasporto di diversi tipi di petrolio, a seconda delle aree di estrazione che ne modificano la densità e i contenuti di zolfo. A questo si aggiunge il calo dei prezzi del petrolio, che rende più costosa l'estrazione con il fracking e che rischia di limitare la crescita del settore. La strada sembra però spianata verso ulteriori progressi e l'abolizione del divieto in vigore dal 1975.
Da allora, complici le nuove tecnologie, gli Usa si apprestano a superare, nel 2015, la Russia e l'Arabia Saudita come maggiore produttore di greggio al mondo. L'ascesa, che ha portato gli States a produrre nel 2013 piu' petrolio di quanto non ne fosse importato per la prima volta dal 1988, si fa sentire sui prezzi e modifica gli equilibri geopolitici, aprendo una 'lotta' all'interno dell'Opec, il cartello dei paesi produttori.
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