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Lavoro, altro scontro col governo:
gli statali esclusi dalla riforma

Il ministro Madia: «La riforma non tocca la pubblica amministrazione perchè i dipendenti entrano per concorso». Il sottosegretario Zanetti: «È sconcertante»

ROMA. Lo spazio è ormai finito: i critici del governo "si arrenderanno all'improvviso, quando non potranno più negare la realtà". L'ultima stoccata del premier Matteo Renzi ai "frenatori" arriva con il chiaro intento di zittire le polemiche che, anche dopo il Cdm del 24, continuano a segnare il Jobs Act e che, in Parlamento, potrebbero incrociarsi con la battaglia sulle riforme e con la partita per il Colle, ormai imminente.

Il rischio stallo è dietro l'angolo e anche per questo Renzi tenta di spegnere, via Twitter, i propositi battaglieri di Cgil e sinistra Pd replicando, a distanza, a Susanna Camusso, che si dice "pronta a tutto" per fermare il Jobs Act. Ma quello di Renzi, in questi giorni in Toscana per il Natale e impegnato a preparare la conferenza stampa di fine anno di lunedì, è anche un primo, sintetico bilancio degli ultimi passi del governo. "Il 24 dicembre svolta su Taranto, lavoro, delega fiscale, Inps mentre si chiudevano vertenze Termini Imerese e Meridiana", 'cinguetta' il premier coniando un hashtag che sa di nuovo avvertimento ai "gufi": "#nonsimolla". Anche per questo, se da un lato Renzi precisa come il progetto sull'Ilva riguardi tutta Taranto e non tralasci il fattore ambientale, dall'altro, prepara già i binari per le ultime tappe del treno delle riforme.

La nuova legge elettorale "arriva, arriva. A gennaio siamo in seconda lettura al Senato, ormai ci siamo anche lì", scrive il premier, ben consapevole che, anche per il ddl riforme costituzionali alla Camera la deadline non debba superare il 31 gennaio, con l'eventualità che i due testi ottengano il secondo ok del Parlamento nei 15 giorni che separeranno le dimissioni del presidente Napolitano e la convocazione dei Grandi elettori per l'elezione del successore.

Tempi stretti, quindi, che andranno ad 'inaugurare' un anno, il 2015, in cui il premier ribadisce di voler "andare avanti a testa alta" anticipando, tra le priorità, anche la riforma della giustizia amministrativa. Prima, però, il governo dovrà affrontare l'approdo del Jobs Act nelle commissioni competenti per un parere che, sebbene non vincolante, si preannuncia infuocato. Ed è lo stesso presidente della commissione Lavoro alla Camera, Cesare Damiano, ad annunciarlo: "Dobbiamo lavorare per cambiare questa norma e ricondurla soltanto ai licenziamenti individuali".

Sul tema, insomma, Renzi tornerà a trovarsi stretto tra un Ncd deluso per l'esclusione dell'opting out e una sinistra Pd che, già in passato, ha dimostrato un'inusuale intransigenza sui temi del lavoro. Intanto, fuori dal Parlamento, la battaglia sul Jobs Act furoreggia, con la Cgil che evoca nuovi scioperi e ricorsi anche in Europa, e il segretario della Cisl, Annamaria Furlan, che chiede l'assorbimento da parte delle nuove norme di tutti i contratti precari. E non aiuta certo la polemica sull'inclusione o meno degli statali nei decreti attuativi, data per sicura dal senatore di Sc Pietro Ichino al Corsera e negata, in serata, dal ministro del Lavoro Poletti. Una postilla su cui l'ondata di polemiche potrebbe allargarsi: di certo sarà l'esclusione dei licenziamenti collettivi dalle nuove norme a determinare, alla ripresa dei lavori parlamentari, il fulcro della battaglia.

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