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Crisi, Lo Bello: "Ai politici siciliani non interessa lo sviluppo dell'Isola"

Duro attacco del vicepresidente nazionale di Confindustria: "I segnali non sono incoraggianti, c'è un pezzo di società che non ha colto la gravità della situazione generale"

PALERMO. Erg getta la spugna: cede la maggioranza delle raffinerie di Siracusa ai russi di Lukoil e abbandona definitivamente il progetto del rigassificatore. Un'uscita che fa seguito alla chiusura della Fiat di Termini Imerese, alla crisi del petrolchimico di Gela per non parlare dei tanti mal di pancia che si avvertono nell'Etna Valley. Il bilancio è sconfortante. Non solo non ci sono nuovi investimenti industriali in Sicilia ma quei pochi che esistono battono in ritirata. Nel frattempo il Pil cala e la disoccupazione sale. Nel frattempo la Regione, anziché incentivare l'impresa preferisce pagare i forestali. Così vengono persi 400 posti di lavoro perché due aziende di Reggio Emilia che facevano parte del distretto di Meccanotronica bloccano gli investimenti a fronte dell'inadempienza dell'amministrazione. Che cosa succede? Ne parliamo con Ivan Lo Bello, vice presidente di Confindustria ed esponente di primo piano dell'industria siciliana


A chi e che cosa attribuisce la responsabilità per questa fuga?


«Comincerei dal governo della Regione che verso i temi dell'industria ha mostrato costantemente un'attenzione residuale quando non addirittura aperta ostilità. Una scelta che ha penalizzato le opportunità. Molte aziende che pure avevano guardato con interesse alla Sicilia, hanno dirottato altrove i loro investimenti. In questo modo sottraendo occupazione e Pil che in Sicilia ormai scende dal 2007».


Qualche nome di impresa che ha cambiato idea?


«Ricordo General Elecritc, una delle più grandi multinazionali del mondo. Aveva previsto la costruzione di due impianti: uno a Palermo e l'altro a Catania. Ha aspettato le autorizzazioni e, non avendo ricevuto risposta, è andata via. Era tanto convinta dell'investimento da dare il via alle selezioni. Mai avrebbe pensato che una Regione come la Sicilia, affamata di lavoro, avrebbe rinunciato all'opportunità. Invece è successo e quei ragazzi ora lavorano a Firenze dove gli americani possiedono il Nuovo Pignone. L'avevano rilevato una ventina d'anni fa dall'Eni perché l'azienda è poco legata al ciclo del petrolio. General Electric l'ha trasformata nel polo mondiale delle turbine. Chissà che cosa avrebbero potuto fare in Sicilia».


Qual è stato l'ostacolo maggiore?


«Bisogna sfatare il mito che il nodo sia solo la burocrazia. Le nomine per i posti di maggior rilevanza hanno ormai origine politica e rispondono alla volontà dei partiti. Che la burocrazia sia largamente inefficiente è vero ma è anche vero che ormai opera sulla base di decisioni prese altrove. Si crea il connubio perverso fra alta burocrazia e scarsa volontà politica. Come accade di frequente la Regione non dice né "si" e nemmeno "no". Tanti "ni" che lasciano il quadro indefinito. Tempi così dilatati, ovviamente, bloccano qualunque iniziativa. Un'azienda non può aspettare sei o sette anni per far partire un investimento. Nel frattempo è cambiato tutto: il mercato, la tecnologia, i riferimenti».


I motivi di tanta inerzia?


«Ad un pezzo rilevante della classe politica siciliana non interessa lo sviluppo dell'impresa ma la crescita della clientela. Guardate quello che è successo di recente. La Regione ha speso duecento milioni per pagare i forestali e gli altri precari anziché liquidare le fatture alle ditte fornitrici. Fra le due emergenze ha soddisfatto quella che, a prima vista, garantiva un ritorno più immediato in termini elettorali. Una scelta irresponsabile e miope. Le imprese che restano a corto di liquidità ovviamente chiudono e se non ce la fanno più licenziano. Posso assicurare che i disoccupati sono molti di più dei forestali e dei precari».


Molto assistenzialismo, poco sviluppo. Come nel caso delle due aziende di Reggio Emilia che si sono ritirate dal distretto della Meccanotronica per l'inadempienza della Regione...


«I valori sono sotto gli occhi di tutti. La disoccupazione ha raggiunto la soglia del 19,5%. Si tratta solo dei dati ufficiali perché poi bisogna aggiungere tutti i siciliani, giovani e meno giovani che, stanchi di non trovare lavoro hanno anche smesso di cercare. Insomma, da questo punto di vista, purtroppo abbiamo superato la Spagna».


E anche alla Grecia. La lettura in chiave finanziaria della centralità della Sicilia nel Mediterraneo. Prende i vizi di una parte e anche dell'altra.


«C'è un pezzo della società siciliana che non ha colto i segnali della crisi. Il paradosso riguarda direttamente i 20 mila dipendenti regionali. Nessuno di loro si rende conto del rischio che corre. Come i pensionati pagati direttamente per cassa. Una procedura molto pericolosa che esiste solo in Sicilia. Effetto di un'autonomia che, purtroppo, ha finito per danneggiare tutti e tutto. Probabilmente se fossimo stati controllati dallo Stato i 30 mila precari e 30 mila forestali oggi contribuirebbero con altri lavori e impieghi alla crescita dell'economia isolana».


Qual è stata la risposta della Regione alle vostre proteste?


«Lombardo adombrava il sospetto che i nostri appelli fossero strumentali agli interessi di Confindustria. Come se fosse un peccato. Come se il nostro compito non fosse quello di rappresentare le istanze dei nostri associati. Tutto ciò è il frutto di una cultura radicata dove il rapporto fra politica e impresa non si sviluppa in maniera trasparente e in logica di mercato ma con strumenti opachi».


Che cosa chiedete ai candidati per le prossime elezioni regionali?


«Parlino di quello che vogliono fare: come fare ripartire la crescita che è ferma da più di dieci anni. Cosa vogliono fare di quel sistema clientelare che sta dentro al bilancio, se intendono riformare realmente e non a parole la pubblica amministrazione, se faranno un passo indietro rispetto all'occupazione del potere, se vogliono star dietro alla demagogia di una Sicilia negletta o utilizzare al meglio le risorse comunitarie, se intendono seguire il modello Lombardia sulla formazione professionale o mantenere l'attuale clientificio».


Iniziative concrete?


«Attendiamo che i candidati formino le liste. Poi, insieme alle altre organizzazioni imprenditoriali prepareremo una piattaforma su cui chiederemo un confronto».

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