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Iddu tra farsa, prove d'attore e «pizzini», in gara a Venezia il film dei registi siciliani Grassadonia e Piazza

Non è certo la prima volta che si racconta la mafia attraverso la farsa, il grottesco come in Iddu di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, in concorso al Festival di Venezia per l’Italia. I due registi siciliani usano l’una e l’altro mettendo poi anche in campo due grandi attori affidabili e collaudati come Elio Germano, nei panni di Matteo Messina Denaro, e Toni Servillo in quello di un ambiguo collaboratore di giustizia.

Abbandonano insomma quei toni da favola nera di Sicilian Ghost Story, il loro precedente film low cost, sempre ispirato alla mafia (ovvero alla sparizione e all’omicidio di Giuseppe Di Matteo), ma con un cast meno blasonato, che aveva fatto però scrivere al New York Times: «Eccelsa commistione di naturale e soprannaturale, fantasy e attualità».

Il film, in sala dal 10 ottobre con 01 Distribution, lontanamente ispirato a Matteo Messina Denaro - l’ultimo grande latitante mafioso arrestato nel gennaio del 2023 e morto per malattia otto mesi dopo la cattura - ci racconta questo personaggio metodico che cita l’Ecclesiaste ed è ossessionato dalla figura paterna, con il volto privo di ogni empatia di Germano.

Recluso in un appartamento segreto gestito da Barbora Bobulova, il boss ha solo una grande passione, quella dei cosiddetti «pizzini» che detta con compiacimento, vanità ed erudizione alla sua governante. Tra i tanti pizzini quello di Catello, politico di lungo corso appena uscito di prigione per mafia. Riga con riporto con tanto di ricrescita all’henné, si capisce subito che un è uomo che non ha nulla da perdere.

Così quando i servizi segreti italiani gli chiedono aiuto per catturare il suo figlioccio Matteo, Iddu, ultimo grande latitante di mafia in circolazione, Catello non ci pensa troppo su a tradire, nonostante i molti rischi.
Inizia così uno scambio epistolare con il latitante in cui Catello gioca sull’indiscusso amore di Matteo per il padre scomparso di cui l’uomo vuole quasi prendere il posto scavando sul vuoto emotivo del criminale. Ad affiancarlo una poliziotta ambiziosa e tutta d’un pezzo, interpretata da Daniela Marra.

Un film comunque nato da ciò che emerge dai «pizzini», al di là del loro pragmatico significato, ovvero da ciò che emerge dallo spirito tragico e ridicolo di questo latitante che si misura con questa particolare letteratura, sua unica forma di contatto con l’esterno.

Il film è stato scritto dagli stessi Grassadonia e Piazza, la fotografia è firmata da Luca Bigazzi.

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