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Happy Days, viaggio in un mondo apparentemente perfetto

La sitcom si avvia ai 50 anni, la celebra un libro-enciclopedia

L’apparente «mondo perfetto» filtrato da tanto humour, buoni sentimenti, musica e colori pastello, ma anche dalla nostalgia di una Milwaukee tra anni ‘50 e ‘60, tra ricordi e sogni. Protagonista una famiglia serena e unita in cui i contrasti durano il tempo di una puntata; un ‘ribellè di origine italiana, Arthur Herbert Fonzarelli meglio noto come «Fonzie» (o in originale «The Fonz») in giacca di pelle, simpatico e rassicurante; uno stuolo di amici allegri e fedeli che si riuniva nel mitico Arnold’s, tanti incontri sorprendenti, come quello con un irresistibile alieno, Mork (Robin Williams, che conquistò tanto il pubblico da ottenere una serie ad hoc). È Happy Days, una delle sitcom più iconiche e discusse della storia della tv (compresi gli strali di Nanni Moretti in Aprile, con risposta a distanza di Henry Winkler/Fonzie) della quale si avvicinano i 50 anni dalla nascita.

Una data per la quale è arrivato anche il primo libro enciclopedico al mondo sulla serie creata da Garry Marshall, in onda dal 1974 al 1984, interpretata, fra gli altri, insieme a Winkler, da Ron Howard (diventato poi regista e produttore da Oscar), Marion Ross, Tom Bosley, Erin Moran, Anson Williams e Donny Most. È «La nostra storia - Tutto il mondo di Happy Days» (Edizioni Minerva), firmato dal giornalista e scrittore Emilio Targia, caporedattore a Radio Radicale, e Giuseppe Ganelli, medico radiologo di Codogno, grande appassionato del telefilm, fondatore dell’Happy Days International Fans Club e «il più grande collezionista al mondo di oggetti di Happy Days - spiega Targia -. Ci siamo accorti che non c’era un libro su Happy Days in tutto il mondo e abbiamo pensato che in occasione dei 50 anni sarebbe stato opportuno, necessario, divertente coinvolgente, raccontarne la storia vera con dietro le quinte, curiosità, interviste, personaggi primari, secondari. La nostra storia è la loro, con questa serie rivendicavamo il nostro diritto alla leggerezza». A firmare la prefazione è lo stesso Winkler, mentre la postfazione è di Max Pezzali.
«Happy Days è stata una delle esperienze più importanti di tutta la mia vita, al di fuori della mia famiglia - spiega l’interprete di Fonzie -. Anche quella è stata una famiglia, una squadra che ha lavorato duramente insieme, ha giocato insieme, ha viaggiato insieme, ha pianto insieme ed è cresciuta insieme».

La sitcom, andata in onda negli Stati Uniti dal 15 gennaio 1974 al 24 settembre 1984 - scrivono gli autori - «mise in scena una visione idealizzata della vita americana, a cavallo tra gli anni Cinquanta e i Sessanta, raccontata attraverso le vicende quotidiane della famiglia Cunningham». Il crescente successo delle storie della serie «e la popolarità immediata dei personaggi alimentarono una sorta di febbre che contagiò in poco tempo tutto il pianeta». Per Targia il successo globale è arrivato grazie al fatto che «c’era un grandissimo equilibrio, un altissimo livello di realizzazione, con una perfetta alchimia nel cast e grandi autori». L’idea di famiglia «restava anche a telecamere spente: si divertivano anche loro», «mettiamoci pure l’ottimo doppiaggio italiano e tanti gesti e esclamazioni iconiche».

Avrebbe successo oggi Happy Days? «Forse per i tempi di racconto farebbe fatica a funzionare, ma prima o poi arriveremo a recuperare un po' di lentezza e in Happy Days c’era il racconto prezioso di tanti valori, l’amicizia, la solidarietà, l’amore, affrontati in maniera non ideologica e con empatia».

Il libro ricorda in apertura anche alcuni capisaldi della sitcom che non ci sono più, come Garry Marshall, Tom Bosley, Al Molinaro, Pat Morita ed Erin Moran, scomparsa nel 2017 per un cancro alla gola: l’interprete di Joanie «Sottiletta» Cunningham ha avuto una vita personale travagliata, a causa delle dipendenze da alcol e droghe, dei problemi economici e della depressione. «Ne eravamo tutti un po’ innamorati - ricorda Targia -. È stata stritolata da un meccanismo più grande di lei e chi doveva proteggerla non l’ha fatto».

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