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Il Dizionario del dialetto siciliano da oggi con il Giornale di Sicilia

Ci sono i rimproveri pittoreschi della nonna e quelli della bisnonna, i modi di dire in famiglia, quelli legati alle stagioni, i grani di memoria e quelli nati in riva ai fiumi, tra le lavandaie. C’è l’eloquio colorito dei carrettieri, la parlata che mutava non tanto di quartiere in quartiere, ma di vicolo in vicolo, quando raggiungere Carini era già un’impresa, e per andare da Scicli a Catania ci volevano almeno tre giorni a dorso di mulo.

Era il 1883 e Vincenzo Nicotra pubblicava il primo “Dizionario del dialetto siciliano”: oggi Edizioni Grifo, a distanza di oltre un secolo, ripropone il corposo volume (580 pagine, migliaia e miglia di voci diverse) in una veste editoriale moderna che ne garantisce e ne facilita la lettura e la comprensione, pur mantenendo invariati, ovviamente, i contenuti e le parole originali. Da oggi il libro sarà disponibile in edicola, in abbinamento con il Giornale di Sicilia (costo 12,70 oltre al normale prezzo del quotidiano).

Migliaia di termini, dunque, con il relativo significato, arricchiti da citazione di esempi, proverbi e modi di dire, un immenso patrimonio di cultura popolare che nell’Ottocento era veramente l’unico modo per confrontarsi da paese a paese, e tale è rimasto fino al secondo dopoguerra. “Più il mondo si fa grande e globalizzato, più si sente la necessità di un rifugio sicuro: il parlare conosciuto della nostra infanzia, i luoghi che ci hanno visto crescere, l'atmosfera rassicurante della casa, della famiglia, dove una volta convivevano nonni, genitori, zii, nipoti. Il ritorno al dialetto è più che mai avvertito nella società odierna”, dicono alla Glifo, ben coscienti dell’operazione di recupero documentario che è stata pensata e avviata.

Il dialetto, tra l’altro, ha avuto una vera impennata di interesse, complice il piccolo e il grande schermo, alla tv, alla radio e al cinema: basti pensare alla grande ricerca che Peppuccio Tornatore mise in atto per ricreare il mondo popolare e piccolo borghese di “Baaria” che attraverso almeno tre generazioni di bagheresi, che nel film parlano uno strettissimo dialetto di questa parte di Sicilia. E come non pensare al commissario più amato dagli italiani (e non solo, se contiamo le traduzioni in non si sa più quante lingue): Camilleri “veste” Salvo Montalbano di una sua divisa in dialetto, sdoganando di fatto alcuni termini dialettali che diventano di uso comune. La parlata siciliana, tipica dei suoi romanzi, ha – tra l’altro - dato molti problemi proprio a i traduttori e ha trasformato molte parole in veri e propri segni distintivi della scrittura di Camilleri: basti pensare a “cabasisi” o a “babbiare”, un verbo che col tempo è addirittura entrato nel vocabolario italiano. 

Nella riedizione di Glifo sono state anche inserite alcune immagini ottocentesche relative ai luoghi e al periodo in cui Vincenzo Nicotrasviluppò la sua ricerca lessicografica. Così, il “Dizionario” acquista nuova forza e nuova luce nel far rivivere, con i lemmi che lo costituiscono, una realtà che è quella di un mondo assolutamente preindustriale,  legato piuttosto alle attività manuali dell’agricoltura e dell’artigianato: ambienti che sembrano lontanissimi nel tempo e sono, invece, solo il nostro “ieri”.

Insomma, chi ama il dialetto e chi ne apprezza la rustica spontaneità scoprirà che questo è un libro da leggere, più che un dizionario da consultare, “vi riconoscerà quel grande respiro della storia di un popolo in cui confluiscono le sue tradizioni, le sue passioni e le sue tragedie, puntualmente espresse dalle sue stesse parole che costituiscono uno tra i dialetti più conosciuti e apprezzati nel mondo”.

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